domenica 24 febbraio 2008

Battle Royale (2000) di Kinji Fukasaku

Oggi ho finalmente trovato l'occasione di guardare un film che aveva suscitato il mio interesse un bel po' di tempo fa. E' tanto che l'ho da parte, e cosi' mi sono gustato direttamente la Director's Cut.
Geniale l'idea e geniale la messa in scena: il governo giapponese, esasperato dalla gioventu' incontrollabile, inventa un terribile gioco di sopravvivenza in cui una classe di adolescenti (selezionata casualmente) viene portata su un'isola disabitata e lasciata la' per tre giorni ad uccidersi, tempo entro il quale deve restare un unico sopravvissuto, pena la morte di tutti i rimasti.
La trama, che poteva essere un pretesto per uno splatter/horror fatto solo di un susseguirsi di morti sempre piu' assurde, si eleva e riesce ad essere un susseguirsi di morti sempre piu' assurde, ma che vince nel dare quel qualcosa in piu', che trasforma il film in classico istantaneo. Le scenette d'amore fuori luogo solo all'apparenza mentre la gente muore ovunque, l'elenco aggiornato delle morti con tanto di matricola e giocatori restanti, l'interessante elemento casuale dell'arma assegnata ad ognuno, i campi lunghi con i soldati messi come giocattoli... tutto si amalgama nel creare un'atmosfera che sbilancia, essendo plausibile e surreale allo stesso tempo. Si vedono relazioni nascere e crollare come si potrebbe assistere ogni giorno osservando dei gruppi di ragazzi, ma tutto ingrandito dalla lente della morte sempre incombente. La sopravvivenza porta all'esasperazione le situazioni, elimina l'ipocrisia della vita moderna con una semplicita' terribilmente spietata. E il labirinto di amicizie, odi, amori degli studenti protagonisti (e dei giovani in generale) e' quanto di piu' incomprensibile possa esistere per l'adulto. Il maestro Kitano, interpretato da un favoloso Takeshi Kitano, fa quasi pena nel suo tentatvio di comprensione. Anche messo di fronte alla linearita' creata dalla situazione, non riesce ad avvicinarsi al pensiero di questi giovani, e resta un alieno che arranca alla cieca in un mondo per lui incomprensibile, vittima quasi piu' che carnefice, prima dipinto come persona di potere ma poi trattato come un idiota perfino al telefono da sua figlia. E arrivato alla fine, confuso, chiude il film con una frase che mi ha gelato nel suo totale tono di sconfitta: "Cosa pensi che dovrebbe dire un adulto ad un ragazzo ora?"

La habitación del niño (2006) di Álex de la Iglesia

Questa pellicola fa parte della serie televisiva spagnola Peliculas para no dormir, che similmente a Master of Horror si propone come terreno per produzioni di valore ma con budget piu' modesto (che, attenzione, non significa meno belle!). E questo episodio e' affidato ad uno dei registi che seguo sempre con attenzione, fin dai tempi del cultissimo Azione Mutante, passando per El dia de la Bestia e La Comunidad.
E fortunatamente anche in questo format non viene perso il corpus del suo stile. Ci troviamo infatti davanti un film derivativo, ma con intelligenza. Ispirandosi senza nascondersi a classici come Shining, Rosemary's Baby o le prime opere di Argento, riesce con abilita' a raccontare una storia che intriga da subito e non ti lascia fino alla fine. Il caratteristico umorismo nero del regista e' presente in ogni scena e aiuta a non appesantire il tono del racconto, che altrimenti poteva diventare troppo auto compiacente, ma invece permette di integrare perfettamente tutte le molteplici ispirazioni. E la sagacia dell'operazione non finisce qui: infatti inserendo nella narrazione elementi tipici della fantascienza in un contesto da storia di fantasmi (ad esempio l'introduzione delle teorie derivate dalla fisica quantistica), allarga ancora di piu' l'appeal di un prodotto gia' ottimo. Forza Alex, aspetto il prossimo!

Inside (A L'Interieur) (2007) di Alexandre Bustillo e Julien Maury

Domenica dedicata all'horror, e parto con questo recente film francese. Ne avevo letto abbastanza bene in giro e allora me lo sono accattato con i sottotitoli.
Prendete il classico tema dell'assedio casalingo ad opera dello psicopatico di turno e mischiatelo con la new wave francese da Alta tensione in poi e potrete avvicinarvi a quello che vi aspetta.
I suoi punti di forza sono la buona interpretazione delle due protagoniste (le due facce della stessa medaglia) e l'atmosfera di pericolo incombente, sempre presente anche nei momenti di transizione; infatti per tutta la durata sono stato attanagliato da una sensazione di malessere che e' il cuore di questi film, ma che purtroppo altrove viene trascurata, puntando solo all'aspetto piu' grafico (e quindi piu' semplice da girare) dell'horror... Che qui non scarseggia, sia ben chiaro! Grazie ad effetti speciali casalinghi ma dall'impatto terrificante, assistiamo a delle scene che colpiscono anche gli stomaci piu' forti, mentre l'abile gioco del vedo-non-vedo, soprattutto nella scena finale, fa letteralmente star male. Sara' pure un espediente gia' visto (confronta il Takashi Miike di Imprint), ma tanto accanimento su una donna incinta fa rabbrividire all'istante. Facendo un paragone, un film come Hostel e' molto piu' gratuito, ma non colpisce altrettanto duro, soprattutto per la stilizzazione della violenza, che qua e' molto piu' realistica e diretta. Naturalmente non puo' mancare il colpo di scena finale, che e' si prevedibile, ma sfrutta bene l'apertura girata in prima persona, spiazzando parzialmente.
Passando alle critiche, come non ricordare i poliziotti francesi. Ora non pretendo comportamenti da regolamento e certificati, ma un po' di decenza nel buttare nella carneficina dei giovanotti che sembrano non aver mai nemmeno visto un bignami di procedura criminale, suvvia! Almeno il buonsenso ne avrebbe salvati un paio, ma d'altronde questa critica spesso si accompagna a molti film, e poco ci si puo' fare, non tutti scelgono di piegare la sceneggiatura per andare incontro alla realta', e non so se sia un bene.
Tutto sommato non mi lamento, la via europea all'horror continua ad essere una buona alternativa a tutti i filmacci senza capo ne' coda che ogni estate Holllywood sforna con lo stampino, quindi aspetto con ansia l'affinarsi di questa buona leva registica, e chissa' che magari il futuro non abbia qualche bella sorpresa in serbo.

sabato 23 febbraio 2008

The History Boys (2007) di Nicholas Hytner

E' interessante come a volte certi film entrino nella mia rotazione senza nemmeno ricordarne il motivo (e visto che disdegno i noleggi, immagino il mio feed reader abbia le sue colpe!). E sono poi quelli che danno piu' soddisfazione, senza aspettative vengono valutati meglio.
E' il caso di questo film, abbastanza sconosciuto da noi, ma molto apprezzato all'estero, anche perche' tratto da una riuscita opera teatrale. E infatti si notano tutte le caratteristiche ereditate: dialoghi precisi e brillanti, con una profondita' rara nel medium cinematografico, personaggi delineatissimi e godibili, locazioni semplici e abbastanza ridotte, ma soprattutto scene che spesso stanno in piedi da sole, quasi a rappresentare gli atti teatrali. Il tutto mischiato con tono leggero ma che sa diventare serio nelle parti che si muovono tra tragedia a commedia amara. Ed e' questo equilibrio la parte piu' viva del film, che affronta temi non facili come la maturazione, l'educazione, il ruolo della cultura, l'omossessualita', in maniera mai banale e personalissima, senza urlare verita' assolute, ma dando allo spettatore gli strumenti per formare sia l'opinione che l'eventuale critica della stessa. Strepitosi tutti gli interpreti, che sono gli stessi dell'opera teatrale, sempre credibili e mai tentati da inutili virtuosismi, con una menzione particolare al professore Hector, che con la sua mole e bravura domina ogni scena e trasuda professionalita' in ogni battuta, facendo valere le sue origini di vero attore shaksperiano.

The Bourne Ultimatum (2007) di Paul Greengrass

Adrenalinico. Dovessi usare una sola parola per descriverlo sarebbe adrenalinico. Al terzo episodio della serie viene raggiunto la perfetta sinergia tra scene d'azione e conduzione della storia. Non ci sono momenti morti, non ci sono rallentamenti, e' tutto un rollercoaster tra le svariate location (sembra quasi il promo di un'agenzia di viaggi), che culminano con l'esplosivo finale nell'immancabile New York.

Noto un po' meno di carisma che nell'esordio con Identity, forse perche' ormai del protagonista si sa praticamente tutto, mentre il mistero della vera identita' era ben sfruttato nella prima apparizione. Intrattenimento a tutto spiano quindi, cinema popcorn senza troppi pensieri, ma il genere comincia a starmi un po' stretto, almeno nella sua formulazione troppo classica. Dopo aver visto un titolo come Crank, che nei suoi limiti di produzione ha innovato non poco, mi aspetto sempre un qualcosa di piu' da questi blockbuster annunciati, che altrimenti una volta visti hanno il timer, scaduto il tempo te li dimentichi senza problemi. E' vero che non e' sempre facile tirar fuori qualcosa di originale, ma un po' di sforzo farebbe piacere. O forse sono io a chiedere troppo ad un prodotto nato per divertire e punto... chissa'!

domenica 17 febbraio 2008

American Gangster (2007) di Ridley Scott

La cosa piu' divertente che ho letto sul film e' questo commento di Ohdaesu:
"American Gangster e' il miglior film di Ridley Scott da un po’ di tempo a questa parte: un risultato che, considerando che si sta parlando di uno che ha da poco diretto Un’Ottima Annata e che già 10 anni fa faceva Soldato Jane, si sarebbe forse potuto ottenere anche con uno slideshow di radiografie."

Scherzi a parte, non possiamo prendercela con il buon Ridley anche quando ce la fa (e poi a me Il genio della truffa e' pure piaciucchiato) e questa volta il risultato e' ottimo. Prendendo in un certo modo le distanze dall'emozionale California di Blow e riproponendo un tema visto svariate volte dai tempi della appiccicosa Miami di Scarface, ci troviamo di nuovo raccontata la vita di un signore della droga.
Siamo negli anni '70 a New York, e il boss interpretato da Denzel Washington ha in mano il mercato della costa orientale, grazie alla purissima eroina che riesce ad importare dall'estremo oriente sfruttando la confusione creata dalla guerra in Vietnam. Ma deve fare i conti con il poliziotto duro e puro, interpretato da Russel Crowe. Il film ruota intorno alla contrapposizione fra i due, ma non fa l'errore di fissare tutto unicamente su questo. Riesce abilmente a costruire un affresco dell'epoca abbastanza credibile, grazie anche a delle parti girate oltremare che si riescono ad inserire bene nella storia senza mai appesantirla. E secondo me e' questo uno dei pregi del film, che pur nella sua lunghezza (piu' di due ore) riesce a non cadere mai nell'eccessiva prolissita' che spesso si avverte in prove con simili aspirazioni. E che dire dei due protagonisti? Sempre in parte, riescono bene a esprimere i due lati di una stessa medaglia, quella del dovere a tutti i costi. Non ne e' meno schiavo il gangster del poliziotto, in un mondo nel quale la corruzione regna sovrana ma che grazie al loro scontro sembra poter avere una piccola e temporanea sconfitta (o almeno cosi' sembra), ma senza il gusto di lieto fine. E la parte dell'interrogatorio non si puo' dimenticare facilmente, l'espressivita' di Washington da sola e' riuscita a zittire completamente il cinema, che grazie alla maleducazione della gente purtroppo e' stato per quasi tutta la proiezione rumoroso sigh (rimpiango i tempi quando riuscivo ad andare al cinema la domenica di primo pomeriggio... vuoto!!!).

Feed (2005) di Brett Leonard

Forse una cantonata secca bisogna prenderla ogni tanto. E questa volta non c'e' dubbio, questo film merita di essere commentato solamente in modalita' ironica, altrimenti saltavo direttamente il post.
Avessi visto la tag line del poster prima della visione magari ci avrei ripensato: Dal regista de Il tagliaerbe e Virtuosity a voi sembra uno slogan promozionale? A me sembra un marchio d'infamia non indifferente. Dall'Australia ho avuto spesso belle sorprese (ad esempio vedetevi assolutamente Two hands oppure Istantanee) e un pochino ci speravo, ma devo capire che un colpo d'occhio ai commenti degli utenti di imdb a volte non da' la giusta prospettiva.

L'idea principale e' tanto semplice quanto potenzialmente interessante: un detective e' sulle tracce di uno psicopatico che ha la perversione di nutrire le donne, ingrassarle oltre ogni misura fino a farle diventare completamente dipendenti da lui, per poi portarle pian piano alla morte. L'incipit azzeccato con potenziali riflessioni sul consumismo imperante viene pero' completamente perso di vista tra i mille problemi del film
  • personaggi demenziali: la ragazza assatanata del poliziotto, dopo i primi 5 minuti con credibilita', fa morir dal ridere ogni volta che entra in scena; che dire poi del protagonista stesso che prima dichiara di non aver paura di nessuno e poi scappa a gambe levate, persino inciampando, al primo attacco verbale
  • buchi di trama incredibili: magari e' solo fortunato a trovare tutti gli indirizzi che gli servono nel modo piu' casuale possibile, ma io anche sforzandomi ancora mi chiedo come capitando in Ohio dall'Australia possa riuscire a mettere assieme tutto in meno di 1 ora reale
  • le incredibili skill da hacker sono fenomenali.... usa Windows come un bambino, becca le password dalla finestra del dos e -bellissimo- quando navigando sul sito dei pervertiti gli viene rifiutato l'accesso, Internet Explorer gli si chiude e pure tutte le finestre aperte. Nemmeno Neo ai tempi d'oro...
  • Quando un killer, mentre presenta sintomi di pazzia e sdoppiamento della personalita', per prendere in giro il poliziotto gli fa il verso tipo gne gne vuol dire che siamo alla frutta
  • E' obbligatorio che TUTTI quelli che hanno qualche comportamento anormale vengano da un'infanzia difficile, con tanto di flashback a mo' di videoclip. Chiamate il telefono azzurro!
E potrei continuare ancora per un bel po', ma lascio con piacere agli amici di Morelli e le loro fantastiche recensioni un eventuale analisi piu' precisa. E tutto questo e' un peccato, perche' tecnicamente il film ha le carte giuste. Tranne quando cerca di copiare troppo l'MTV style, mette in tavola delle sequenze crude e precise, con colori adatti ad ogni ambiente e tagli di ripresa simpatici. E gli effetti speciali della grassona non sono niente male, hanno fatto il loro lavoro nel farmi passare la fame per un bel po'. Ma soprattutto perche' non ho potuto pensare per tutto il tempo cosa poteva essere il soggetto in mano ad un Cronenberg, o addirittura un Lynch. Immaginatevi solo la carnazza che avrebbe messo in scena il nostro canadese, oppure le intortature mentali e le metafore sulla scia di Elephant Man che avrebbero potuto deliziarci... ma sara' per un'altra volta credo.

Cloverfield (2008) di Matt Reeves

Fin dall'infanzia sono sempre stato affascinato dai film di mostri, passione nata forse da un'acerba visione di uno dei primi Godzilla. In quel leggendario pseudo dinosauro non vedevo la gommapiuma, ne' mi accorgevo che i palazzi distrutti fossero dei modellini di legno e colla, ma nella mia immaginazione la devastazione portata da quella incredibile bestia era reale quanto un rispettabile telegiornale (e non parlo dell'odierno Studio Aperto). Questa passione si e' evoluta poi nell'interesse verso mostri di altro genere: che il soggetto fosse lo squalo, la piovra assassina o qualsiasi creatura con potere e dimensioni incredibili, per me era tutto buono. Se veniva stimolata anche minimamente con successo la primordiale paura di cio' che e' sconosciuto ed enorme, una visione se la guadagnava in ogni caso, nonostante spesso la cornice filmica non fosse delle migliori.
E forse a posteriori questa formazione ancora oggi mi regala (con frequenza non preoccupante naturalmente) dei fantastici sogni a sfondo apocalittico, il cui nucleo e' a grandi linee sempre lo stesso: ci sono io che mi muovo in luoghi familiari, che variano da quartieri in cui ho abitato a citta' famose che ho visitato, e in lontananza vedo un mostro enorme che cammina e distrugge. Dico mostro intendendo creatura incredibilmente grande, ma non e' mai la stessa, anche se spesso assomiglia all'archetipale anfibio del maestro Honda. Ed io sono la', per nulla spaventato ma completamente preda di uno stupore che e' il cardine di tutto il sogno. Non vengo mai messo in pericolo dalla situazione, il sentimento dominante e' quello della curiosita', spesso il mostro mi passa vicino o sopra, mai puntando verso di me con ostilita', e prosegue per la sua strada. Ed io lo osservo per tutto il tempo, sento le vibrazioni che produce muovendosi e il frastuono assordante. Altre volte faccio parte di qualche piano per fermarlo e allora l'esperienza viene arricchita dalla componente action, con connotati notevolmente filmici. E se in quei momenti qualcuno di quelli che sempre mi accompagnano stesse riprendendo, quello che vedrei sarebbe proprio cio' che ho vissuto nell'ora di Cloverfield che comincia con la prima esplosione. Rivedo la frenesia, la paura mista a curiosita', l'adrenalina della fuga ma soprattutto l'inquietante maestosita' di qualcosa che non conosciamo nella vita reale, qualcosa di talmente grande che non si puo' pensare fino a quando non ci si sbatte contro. Eserciti come soldatini, grattacieli che perdono la loro proporzione, tutto e' messo li' per farci vivere quei momenti di sincera meraviglia che e' il vero obiettivo del film. Non la paura ma la meraviglia, nascosta sotto la concitata sceneggiatura quasi da thriller, ma ben apprezzabile nei momenti chiave. Infatti sfido chiunque a non restare ammirato dalla prima parte della fuga, quando ancora del mostro si vede solo un'ombra che gira dietro gli angoli dei palazzi e poco altro. Pur sapendo abbastanza (marketing, youtube, trailers) ancora non si vuole credere, ed e' un risultato da ricordare.

Per quanto riguarda i lati negativi, lascio a voi la fantasia di pescare tra le recensioni in giro per la rete, poiche' non voglio stare qua a disquisire su telecamere indistruttibili o altri dettagli, ma preferisco godermi la messa in onda di un sogno.