domenica 30 marzo 2008

Paris, Je T'Aime (2006)

Divertissment di notevole fattura, con grandi nomi sia alla regia che come attori. Sono 18 piccoli minimetraggi che ripercorrono i quartieri di Parigi, senza nemmeno prendersi la briga di amalgamare le storie, ed e' questo il bello di tutta l'operazione. La leggerezza della narrazione e' adatta al formato scelto, anche se alcuni degli episodi vanno un po' piu' in profondita' del semplice esercizio stilistico.
Abbiamo in ordine sparso:

  • Alfonso Cuarón come da copione infila uno dei suoi piani sequenza, che sembra raccontare una storia di tradimento per poi ribaltare tutto con un divertente finale
  • Un simpatico siparietto con protagonisti dei mimi, dal regista del poco conosciuto ma bellissimo Appuntamento a Belleville
  • Gus Van Sant che non riesce a resistere senza mettere dei bei ragazzi nelle sue opere...
  • Tom Tykwer come con Lola continua a correre come un matto nelle sue cinetiche narrazioni, ma lascia il segno, grazie anche a una Natalie Portaman in parte. (ecco l'intero corto)
  • Wes Craven fa il suo dovere e porta a casa la pagnotta, ma senza troppo impegnarsi. Lo salva in corner oscar Wilde (!)
  • La Coixet, dopo l'indimenticabile La mia vita senza me, riparte dallo stesso spunto per analizzare un Sergio Castellitto in crisi matrimoniale. Forse un po' troppo derivativo, ma godibile.
  • Uno stupendo e appassionato omaggio di Vincenzo Natali al cinema muto, ma soprattutto ai film di vampiri, con ironia e stile (grandissimo l'uso del rosso, gustatevelo qui)
  • I fratelli Coen a ruota libera che con sottile humor nero prendono in giro l'atteggiamento del classico turista (americano?) che pende dalle guide, con uno sbattutissimo Buscemi.
  • Di contrasto l'ultima parte di Alexander Payne parte con una metanarrazione che sembra un'ancora piu' amara critica del turismo senza cervello che tanto va di moda a questi tempi, ma sorprende nel finale prendendo una piega altrettanto amara, ma melanconica e personale, concludendo in modo perfetto un film sempre in bilico fra i generi.

28 Settimane Dopo (2007) di Juan Carlos Fresnadillo

Il sequel del notevole "28 Giorni Dopo" poteva essere tante cose, tra cui un operazione commerciale, un'anonima uscita diretta in video, o un filmaccio di serie B, ed invece fortunatamente ci siamo trovati fra le mani proprio un bel film.
Il cambio alla regia, che poteva sembrare azzardato, fa bene al prodotto, che acquista freschezza fino a risultare originale quanto il predecessore. Se li' avevamo potuto ammirare le innovazioni formali sullo scheletro di zombie-movie classico (i morti viventi che corrono, l'insolita ambientazione rurale inglese, l'attenta analisi dei personaggi), qui veniamo sbattuti in una Londra post apocalittica molto affascinante, con una situazione che degenera sotto il controllo militare durante la ripopolazione della citta'. Ed e' questa citta' vuota, ripresa solamente da telecamere di sicurezza, ad offrire forse l'aspetto che piu' verra' ricordato, ma abbiamo anche una trama che non molla un secondo, scandita da scene memorabili ben collegate fra loro e che perde appena appena in un paio di scelte un po' forzate.
Godibilissimi quasi tutti i personaggi, e per una volta assistiamo a dei momenti che si staccano dal canone dell'eroe-che-si-sacrifica-sempre, con il protagonista che abbandona la moglie durante le concitate fasi dell'assalto alla fattoria dell'adrenalinica scena iniziale. Il dolore misto a rassegnazione nei suoi occhi vale quasi da solo la visione. Fossero tutti cosi' i seguiti!

PS: Notevole pure l'accompagnamento musicale di John Murphy, per il quale torno a lodare il post-rock, che nelle colonne sonore sembra aver trovato una interessante via di sviluppo!

sabato 29 marzo 2008

The Dudesons Movie (2007) di Jarno Laasala

Prendete 4 ragazzotti finlandesi che si fanno del male nei modi piu' incredibili, aggiungete un montaggio notevole e mischiate il tutto con gli strabilianti paesaggi artici, ed avrete i Dudesons.
Sulla scia di Cky, Jackass e Dirty Sanchez troviamo questo bizzarro quartetto europeo (cinque col maiale) che riesce a non far rimpiangere troppo Johnny Knoxville e compagni. Lo fanno con una produzione sincera e casalinga al 100% (infatti si auto producono), ma soprattutto grazie ad una regia e post produzione veramente ammirevoli, ad opera di uno dei quattro (Jarno). Infatti non si puo' che apprezzare come da un'idea originale che ormai mostra i suoi limiti si sia riusciti a mettere assieme piu' di un'ora di girato di alta qualita', con punte quasi liriche per scelta di colori e illuminazione: alcuni tagli d'inquadratura ma sopratutto gli stacchi con protagonista la natura hanno un forza tutta loro, e vedere impegnato Jarno in qualcosa di piu' serio potrebbe riservare delle sorprese.
E poi Jarppi, Jukka, Jarno e HP (!!) nella loro vita da eterni bambinoni in un'improbabile Dudesons Ranch hanno una presenza scenica non indifferente, che fa dimenticare i limiti di quello che ci raccontano. Cio' non toglie che l'attitudine da buffoni e l'esagerazione estrema come obiettivo possa non piacere a tutti, ma presi nella giusta maniera regalano senza dubbio un divertente passatempo e piu' di qualche sorriso.

giovedì 27 marzo 2008

Irina Palm (2007) di Sam Garbarski

Dignita'. La parola chiave di questo film e' dignita'. Come quella che la protagonista esprime in ogni inquadratura, senza mai sovraccaricare il personaggio, quasi sottovoce.
E' un film che idealmente poteva essere un disastro, ma inaspettatamente riesce a realizzarsi in tutte le direzioni che la trama offre. E che trama, oddio! Poteva essere la barzelletta degli sceneggiatori: una nonna per raccogliere i soldi necessari a curare il nipotino malato si improvvisa sex worker, e va a lavorare in un equivoco nightclub dove, in parole povere, fa le seghe agli uomini! Si esatto, proprio le seghe, da dietro un muro e attraverso un buco. E' proprio cosi' che lei lo spiega alle sue anziane amiche nella scena piu' memorabile, senza nessun giro di parole, facendo venire a galla in un attimo la loro ipocrisia perbenista, che pero' incredibilmente si trasforma in curiosita' e (azzardo!) quasi accettazione.
Quello in cui si muove la protagonista e' un mondo di squali, un mondo che non perdona e che non ha nulla da offrire a lei e alla sua famiglia, tutti destinati a soffrire per la loro situazione economica. E' lei per prima ad accorgersi amaramente di non valer nulla, la societa' non puo' darle lavoro, ma trova la forza di rialzare la testa e crederci. All'inizio non molto convinta, ma poi sempre piu' consapevole delle possibilita', si inventa una via di fuga, senza lasciar che la falsa morale comune fermi il suo coraggioso piano. Superato questo dilemma improvvisamente si trasforma, si sente di nuovo una persona viva e capisce che puo' farcela. Infatti diventa pure brava, guadagnandosi il nome d'arte che da' il titolo al film e diventando una grossa fonte di guadagno per il proprietario del locale, col quale nascera' un curioso rapporto di stima e comprensione, che riesce a ridare fiducia ad entrambi. Ma non c'e' mai accenno di buonismo in questa Londra truce e dolente, scandita con precisione nella sua ineluttabilità da un ipnotico post rock acustico, le cui chitarre taglienti restano dentro. E l'unica spinta per farcela non sembra nemmeno arrivare dalla famiglia, che travisa tutto e si dimostra ostile nonostante le legittime intenzioni , ma forse proprio da dentro se stessi, e magari nei posti dove meno ce lo si aspetta.

Martin (1977) di George A. Romero

Prima di Dawn of the Dead, Romero usci' con questo film abbastanza snobbato ai tempi, ma fortemente personale e importante nel suo percorso filmico. Con una troupe di appena 15 persone e un budget vicino allo zero, riesce a portare sullo schermo un'opera di assoluta dignita' e valore, che fa presagire i futuri blockbuster, e che presenta per la prima volta una collaborazione con il grande esperto di effetti speciali Tom Savini, sua spalla fissa nelle successive regie.
Nato su pellicola in bianco e nero e poi montato a colori e con molte riduzioni nella versione che e' possibile ora vedere in DVD, racconta la storia di un ragazzo che si trasferisce a vivere da suo zio. Secondo la leggenda di famiglia, Martin e' portatore di una forma di vampirismo. Questa condizione lo spinge ad una incessante ricerca di sangue umano, che tenta di procurarsi con l'ingegno piu' che con la violenza, alla quale ricorre solo nei casi estremi. La sua fame e' differente da quella vista in altri film che trattano di vampiri, sembra maggiormente simile ad una condizione mentale che ad una malattia, anzi la vera marcia in piu' e' data dalla continua incertezza sulla vera origine di questo topos filmico, mai analizzato cosi' bene nelle sue implicazioni sociali e psicologiche.
Abbiamo Martin che affronta la dura convivenza famigliare derivante dal fanatismo religioso dello zio (a base di croci e acqua santa, che naturalmente non sortiscono gli effetti previsti); oppure lo osserviamo incuriositi diventare il giovane amante di una vicina di casa insoddisfatta della sua vita banale, il tutto mentre racconta per telefono ad un DJ della radio le sue incredibili storie, diventando quasi una leggenda metropolitana per gli ascolatori. Fa da sfondo un fatiscente sobborgo, pregno di malinconia e quasi simbolo di un sogno americano crollato e ormai solo lontana memoria.
Tutte queste vicende formano il giovane, schiacciato sempre di piu' tra il bisogno (psicologico o fisico?) di sangue e la necessita', dettata dalla societa', di conformismo, ma non gli fanno perdere la forza di continuare a portar avanti la sua vita, per quanto complicata sia. Non si riesce a trovarlo cattivo, sembra solo un ragazzo confuso che prova a superare l'adolescenza con meno danni possibili. Ed e' difficile non fare il tifo per lui, rovesciando il modello del diverso come mostro incomprensibile. Ma il dubbio che resta dopo la visione e' se Martin sia veramente cosi' diverso...

sabato 22 marzo 2008

Ratatouille (2007) di Brad Bird

E' bello riuscire a essere cosi' freschi, cosi' innovativi e cosi' divertenti, e pure emozionare. In un film di animazione. Ma non tutti possono riuscire a farsi comprare dalla Disney e avere ancora il coraggio (supportato dalla qualità assoluta) di mantenere la propria identità artistica senza nessun cedimento. E infatti non tutti si chiamano Pixar.
E' incredibile, sulla carta questo progetto era il piu' rischioso affrontato finora. Non ci sono animali pucciosi, giocattoli antropomorfi o al limite macchine umanizzate, ma dei TOPI. Si, proprio dei fottuti topi, quei simpatici animaletti rinomati per le igieniche frequentazioni e le noie che creano alle abitazioni, e che spesso non fanno gridare di gioia il gentil sesso! E l'argomento principale del film, la cucina, a chi poteva interessare? Non ci si poteva credere. Ma fortunatamente questi artisti ci hanno creduto, e fino in fondo, tirando fuori forse la loro miglior opera. La trama che in altre mani sarebbe stata materiale per un misero direct-to-video qui diventa epitome di Cinema con la maiuscola. Ci sono alcuni sviluppi lasciati un po' per conto loro, ma la fluidita' della narrazione li fa diventare dei piccoli diamanti che impreziosiscono il piatto principale. E che piatto: riguardo la qualita' delle animazioni non serve neppure piu' parlare, ma che dire dell'uso assolutamente strepitoso dei movimenti di camera che fa impallidire qualsiasi produzione, a prescindere dal settore? O dei personaggi divertenti, mai macchiette ma anzi con sentimenti e piccoli tic che li rendono vivissimi? Senza dimenticare i topi, protagonisti assoluti di un microcosmo colorato e paragonabile per bellezza alla Parigi che ospita la storia. Una storia che conquista fin dalla prima scena (la citazione di Il buono il brutto il cattivo con il fermo immagine di Remy che scappa e' fantastica) e regge ogni minuto della pellicola, risolve tutto in anticipo, facendo scomparire i ritriti finali che tirano le somme quasi per dovere, e chiude deliziandoci con un siparietto imperniato sulla figura del critico, che riesce a commuoversi e riscoprire il piacere del cibo dopo una carriera dedita alle recensioni-stroncatura... Al che non si puo' che sorridere pensando a questi geni che hanno lottato per portare avanti la loro visione pura, in un mercato che vede questi film unicamente come trappole-acchiappa-soldi-senz'anima, nei quali basta inserire un contentino/parodia/canzone anni '80 stile "ehi, cioe' hai visto", che solo gli adulti possono cogliere per far gridare alla sottigliezza del nuovo capolavoro. Quindi ad ognuno il suo posto, e il posto per Ratatouille e' tra i film (non cartoni) di assoluta serie A.

sabato 1 marzo 2008

Non e' un paese per vecchi (2007) di Ethan Coen e Joel Coen

Un deserto infinito che fa da sfondo con la sua cruda sincerità alle storie di 3 uomini diversi tra loro, ma con molte piu' cose in comune di quelle che si possono notare dalla semplice sinossi del film.
Sono 3 rappresentazioni, ognuna epica a modo suo, di un mondo in declino, forgiato nel duro west americano, quella frontiera vista in mille film ma sempre misteriosa pur nella sua quotidianità. Cio' che li anima è nascosto e sfuggente, ma la volontà che mettono in ogni azione e' pura e inattaccabile. Non degli eroi in nessuna accezione, ma determinati a portare avanti la loro individualità con implacabile determinazione. Per assurdo non sono molto lontani dalle figure orientali del samurai come rappresentazione del dovere assoluto, o meglio ancora speculari dei leggendari ronin senza padrone, pistole al posto di spade.
E poi c'e' tutto il resto:la trama semplice ma eseguita con precisione chirurgica, le location inquadrate con tagli geometrici che lasciano senza fiato, l'humor nero sempre pronto ad entrare in scena, i dialoghi da citazione istantanea, e i capelli di Bardem. La visione non puo' prescindere dalla scelta dell'acconciatura del killer, che caratterizza piu' di mille frasi un personaggio che resta sotto la pelle a lungo. Quasi quanto il rumore della pistola ad aria compressa. Chiudo ricordando l'altra perla: poche volte ho visto il nodo principale di un film svelarsi in modo cosi' sommesso, anticlimatico e spiazzante, quasi a ricordare come la vita vera abbia poco a che spartire con la pellicola.