mercoledì 30 aprile 2008

[Fiction] Dexter: Season one

Ho finito di vedere la prima season. E che spettacolo! Non perde un colpo, ogni puntata è riuscita ad entusiasmarmi senza distinzione. Il protagonista assolutamente perfetto, sempre in equilibrio tra il bene e il male, riesce a dipingere un personaggio fuori dalle righe come pochi altri della fiction moderna. Comprimari di gran classe, in primis la sorella, che messa in un altro contesto avrebbe rubato ogni scena. Ma ci sono anche i colleghi di Dexter, ognuno con la sua personalità ben definita e ai quali non si può non affezionarsi (Batista numero uno!).

Promosso su tutta la linea, passiamo alla seconda stagione, così mi gusto anche il doppiaggio originale, anche se devo dire che questa volta il lavoro fatto e' stato ottimo sia nella caratterizzazione che nel tono generale (a differenza di Heroes, che fraintende completamente in più di un'occasione).

domenica 27 aprile 2008

Walk Hard: The Dewey Cox Story (2007) di Jake Kasdan

Dimenticate per un momento Will Ferrel. Dimenticate le commedie volgari e sboccate solo per il gusto di esserlo. Dimenticate che il signor Apatow ha firmato Knocked Up (Molto incinta da noi, sigh). Dimenticate i noiosi film sui musicisti. E lasciatevi divertire da un John C. Reilly assolutamente FAN-TA-STI-CO, che nelle due ore di questa commedia/parodia riesce nella difficile impresa di essere migliore del materiale d'origine. Nella caratterizzazione del fittizio Dewey Cox troviamo ogni star mai portata sul grande schermo, da Jim Morrison a Ray Charles, da Elvis Presley a Johnny Cash, fino a tantissimi altri che vengono ricordati nelle loro note più memorabili (David Bowie, i Queen, Bob Dylan!).

Non c'è nessuna pretesa o tono di superiorità nel raccontare la sua storia, ed incredibilmente questa pellicola riesce ad essere IL Film sulla musica e i suoi protagonisti, forse perchè l'ironia è lo strumento migliore per riuscire ad inquadrare personalità così estreme ed estrarre dalle loro espressioni più famose un quadro d'insieme dell'artista come persona. Ed alla fine si fa fatica a credere che questo talentuoso Dewey Cox non sia che una finzione, quando lo immagineremmo lassù, che ci osserva sorridendo, a fianco del Re.

Nota: mi sono visto la versione unrated in lingua originale. Ho dato un occhio a quella passata nelle (poche) sale nostrane, e devo dire che, oltre a notevoli tagli (oltre la mezz'ora), l'adattamento per forza di cose fa perdere molto, quindi suggerisco assolutamente questa opzione. La scena dei Temptations da sola vale lo sforzo.

Flight of the Living Dead: Outbreak on a Plane (2007) di Scott Thomas

Questo filmettino merita senza dubbio più di un'occhiata. A prima vista potrebbe essere scambiato per un clone di Snake on a plane, con zombie al posto dei serpenti, ma informandomi scopro che lo script è stato prodotto molto prima, solamente la produzione ha avuto tempi più lunghi, tanto che le richieste dei pezzi di 747 per realizzare le scene spesso venivano confuse dagli uffici delle ditte specializzate, che spesso si trovavano a rispondere con "Ah, voi siete quelli dell'altro film!".

Ma mentre nell'altro abbiamo un'idea brillante (aereo! serpenti!) che porta avanti tutta la pellicola ma perde un po' di brio e si salva solamente per la carismatica presenza di Samuel L. Jackson, qui ci troviamo con un omaggio tout court alle pellicole post Romero che hanno scritto la storia del genere (con il maestro Fulci in testa). Ed è un omaggio fatto con grande mestiere, tant'è che la storia fila liscia dall'inizio alla fine, evitando l'errore comune di trasformarsi in squallida copia, ma anzi permettendosi in almeno due occasioni delle simpatiche riflessioni sul meccanismo dei film de paura: la scena del bagno, con tutta l'attenzione incentrata sulla tazza che sembra nascondere il prossimo pericolo ma con un ribaltamento a sorpresa, è da manuale nell'uso della camera e dei tempi, mentre quella dell'anziana zombie che sembra aver compromesso uno dei nostri eroi con un morso mi ha fatto morire ("She's gumming me to death!").

Come dimenticare poi il microcosmo che popola l'aereo, fatto certamente di stereotipi (la fidanzata traditrice, il delinquente scortato dall'agente federale, il vecchio cinese, il comandante all'ultimo volo prima della pensione, la suora!), ma tutti caratterizzati con il giusto tocco di classe e abbastanza credibilità da potercisi affezionare. E infatti la trama funziona, sfruttando l'ambiente chiuso nel migliore dei modi ed anzi superandone i limiti con delle trovate geniali, vedi il pavimento crollato che inghiotte le persone alla stregua della romeriana immagine dei morti viventi che si trascinano fuori dalle tombe. E sono particolari che rivelano la passione profusa nel progetto, che gli permette di lasciarsi alle spalle l'etichetta di film d'exploitation, superando senza dubbio l'altro in divertimento e coesione narrativa.

Chiudo con una nota di merito per la bellissima Kristen Kerr nel ruolo della hostess, che tira fuori una discreta interpretazione, conquistando fin dalla prima scena. Dopo la gavetta in varie fiction/produzioni minori (però appare brevemente anche in Inland Empire, interessante!) si dimostra pronta per ruoli più importanti.

domenica 20 aprile 2008

Juno (2007) di Jason Reitman

Film sottile questo Juno. Si fa piacere per tutti i motivi che non ti aspetteresti da una pellicola con tutto questo hype. Dispiace dirlo, ma a volte quello che precede l'uscita di un film a volte rischia di corromperne la visione. E questo vale per le polemiche (inutili e fuori luogo) quanto per le nomination, e l'oscar vinto in questo caso. Tutte queste cose assieme (e l'eventuale fauna da sala che avrebbe potuto aspettarmi al cinema) mi preoccupavano un po', ma visto che la versione originale, pronta da un pezzo, non riusciva a trovare posto nella mia programmazione, ho dovuto malavoglia optare per la nostra cara uscita doppiata.
Fortunatamente posso lamentarmi solamente di questo, infatti l'adattamento mi è sembrato assai stridente nei toni (troppo positivi?), soprattutto nelle parti che rendono il film un gioiellino, cioè quelle in perfetto equilibrio tra il melodramma e la commedia, dove si vede la vera bravura della lodata Diablo Cody, sceneggiatrice ex stripper (con manie di protagonismo sembra, ma come darle torto!) che avrà sicuramente una grande carriera davanti a sè, vista l'abilità dimostrata in quest. Infatti se in Thank You for Smoking tutte le lodi erano per il giovane Reitman e la sua frizzante direzione, qua capisce tutto e si mette un po' da parte, lasciando il campo ad uno script praticamente inattaccabile, che correva il solo rischio di essere sovra recitato. Ed entra in gioco il secondo miracolo, questa Ellen Page che ai più sembra essere spuntata dal nulla, ma che senza modestia tenevo d'occhio da tempo, dopo aver visto lo sconvolgente ed inedito in Italia Hard Candy, che mi aveva portato all'attenzione in tempi non sospetti la sua cristallina bravura.

L'attrice poco più che diciannovenne riesce nella difficile impresa di portare in scena tutti i tic, i pensieri e le insicurezza di un adolescente, senza mai risultare didascalica né bidimensionale. La vediamo su quello schermo e pensiamo che è proprio Juno, una ragazzina che cerca di affrontare come meglio le riesce una situazione difficile in cui si è ficcata. Non ci sono sottotesti moralistici o parallelismi sottili, e' puro e semplice cinema che parla di persone e fatti, ed è forse il miglior cinema indipendente degli ultimi tempi, se così si può chiamare senza offendere nessuno.
Perché del cinema indipendente ha sì le origini, ma riesce a staccarsi dagli stereotipi ormai pesanti fatti di famiglie problematiche (quella di Juno e' una famiglia che, per quanto non perfetta, piace allo spettatore senza mai ammiccare), società ostile (nel film la società offre varie possibilità alla neo mamma, a patto che lei sappia accettare la propria situazione per prima) e finali strappalacrime (per quanto questo non sia neppure un happy ending hollywoodiano badate!).
Una boccata d'aria, alla faccia di chi è riuscito a strumentalizzarlo senza pudore.

Hot Rod (2007) di Akiva Schaffer

L'ho scelto per una serata senza troppe pretese, ma alla fine si e' rivelato molto piu' che una delle solite commedie copia di copia di copia. Anzi, nella sua semplicità mi ha divertito più di tanti altri titoli molto pubblicizzati, come 40 anni vergine.

Il film segue le avventure di Rod Kimble, un auto proclamato stuntman, che punta al salto della vita, 15 bus di fila, per raccogliere soldi e salvare la vita al patrigno. La trama, per quanto divertente nel suo minimalismo, altro non è che un pretesto per riunire una sequela infinita di divertentissime gag che non sfigurerebbero al Saturday Night Live (dove infatti si e' formato il regista), e che grazie alla fantastica espressività del protagonista (ma anche ai bravissimi e sconosciuti comprimari) regge senza mai affanno tutta l'ora e mezza, per la curiosità di vedere fino a che punto arriva l'idiozia della storia. E non si resta delusi infatti: ci sono delle scene veramente memorabili, con frasi da classico istantaneo ("E' morto all'istante... il giorno dopo.") e sketch incredibili (come quello dell'animale spirito guida) che non mollano mai. Il tutto impreziosito da una perfetta ambientazione fine anni '80, che non manca di risvegliare qualche nostalgia, con i caratteristici colori, abiti ma soprattutto canzoni: ci sono gli Europe, e bisogna dire che calzano a pennello con l'epica sgangherata sempre presente, con dei tocchi di Morricone a rincarare la dose! Morricone+Europe avete letto bene!!! Ci vuole coraggio a mettere i biondi svedesi nella stessa frase col maestro Ennio, me ne rendo conto, e per questo mi tocca esagerare con gli esclamativi!

Per concludere non posso che consigliare questo piccolo film a cui non si può non voler bene, semplice e sincero, che ha come miglior qualità quella di riuscire a divertire senza mettere in piedi grandi ed elaborate scene madre, ma sorprende anche nel più breve scambio di battute, o con quell'espressione particolare da 2 secondi, ed è un traguardo di tutto rispetto per una commedia.

domenica 13 aprile 2008

Ichi the Killer (2001) di Takashi Miike

Ogni volta che penso di essere preparato ad affrontare un film di Miike devo ricredermi, questo ormai e' un dato di fatto! E' successo ultimamente già con Imprint e poi con Visitor Q, ma se ogni opera di questo geniale (o bizzarro?) regista mi stupirà allo stesso modo, devo preparami a molte sorprese, visto che ogni anno dirige anche decine di film, e gli sono accreditate su imdb un'ottantina di pellicole... ed ha 47 anni, quindi fate voi la media.
Lasciando da parte le curiosità statistiche, sono rimasto letteralmente con gli occhi sbarrati per tutta la visione. Ispirato dall'omonimo manga, racconta la storia di un mal assortito gruppo di yakuza presi in un sanguinoso vortice di vendetta. Può sembrare la classica ambientazione di molti film che ci arrivano dal Giapppone, ma il mondo surreale messo in scena è qualcosa di inedito.
Le vicende ruotano attorno a due killer: il primo fa parte di una banda criminale, mentre il secondo è un giovane con grosse turbe psichiche, capace delle più terribili altrocità, che viene utilizzato come un burattino dal deus ex machina della situazione, un Shinya Tsukamoto in cerca di vendetta nell'ambiente mafioso di Tokio, e che dà il via alla lunga serie di uccisioni/torture che seguirà. Sono i due poli magnetici di una violenza che guida ogni azione. Diversi nel percorso che li ha portati ad essere tali, ma identici nell'essere capaci di esprimersi solamente in rapporto alla sofferenza, sia data che subita. La loro esistenza gira intorno a questo fulcro, in un parossismo guidato dalla situazione che precipita di scena in scena, senza che possano aver modo di cambiare in nessun modo il loro destino. Uno fatto per portare il dolore, l'altro che gode nel riceverlo, le loro strade non possono che incrociarsi, nel peggiore dei modi.
L'analisi dei due personaggi e la loro antitesi da sole riescono a dare un ritratto moralmente dubbio ma di grande forza cinematografica che riesce a non perdersi mai nella narrazione, per quanto prolissa. Grazie all'uso continuo dell'eccesso e dell'humor nero andiamo oltre al banale film horror con ambientazione gangster, arrivando dritti ad una precisa critica, che non risparmia nulla alla società giapponese, sia questa la dipendenza dalla violenza (fisica ma soprattutto psicologica) o l'alienazione dei giovani, senza dimenticare la perdita d'identità della famiglia (tema affrontato più dettagliatamente proprio in Visitor Q). Violenza che diventa protagonista di ogni scena, stilizzata e sporca, ma che miracolosamente riesce, allo stesso tempo, a non essere mai gratuita. Per non parlare poi degli incredibili personaggi: basti pensare ai due poliziotti gemelli, talmente corrotti da rivelarsi peggiori dei banditi, o lo stesso killer in tutina da supereroe, ma tutti indistintamente acquisiscono plausibilità nello strano mondo creato dal film.
E sono riuscito a non parlare della scena della tortura.

domenica 6 aprile 2008

The Nines (2007) di John August

Pensavo di aver visto il lavoro di sceneggiatore sviscerato in ogni suo dettaglio nel notevole Il ladro di orchidee, ma qui siamo un passo avanti, metacinema allo stato puro.
John August, collaboratore fisso di Tim Burton (il mestiere si vede in ogni scena), se ne esce con il primo lungometraggio alla regia e parte con il botto. La trama e' una sorpresa dall'inizio alla fine, ma a grandi linee racconta in capitoli tre storie apparentemente separate ma la cui tematica unificante apparirà chiara solo nel finale. Mentre la prima parte e' girata in bilico fra commedia e thriller, utilizzando gli stilemi propri di molto cinema USA moderno ma con personalità, la seconda e' interamente ripresa dal punto di vista dell'operatore di camera in un reality che segue lo sceneggiatore di un serial in produzione (!!!!). A parole sembra complicato, ma su schermo viene resa benissimo la dicotomia tra il creatore (sceneggiatore) e il creato (serial), che a loro volta sono oggetto di un medium esterno, il reality, con notevoli implicazioni: per il creatore e' importante realizzare il serial, anche a costo di spiacevoli scelte che sono pero' positive per la realizzazione stessa dell'opera, mentre nell'ottica reality piu' le cose si complicano e precipitano tanto migliore e piu' godibile e' il prodotto. E non a caso il protagonista confessa di cominciare a confondere la realtà con suo script, sentendosi come osservato da sé stesso mentre vive la propria vita. Senza tralasciare il tema dell'identità, siamo di fronte a un trattato sull'essenza stessa della realtà e la sua percezione, con linguaggio cinematografico.
E quindi arriva la terza parte che, con stile da fiction televisiva (e qua ci ricolleghiamo alla stratificazione dei medium) stravolge e reinventa la storia in modo tanto inaspettato quanto soddisfacente, senza forzature e con il piacevole senso di circolarità delle migliori opere.
Non si dimentica facilmente la poliedrica interpretazione di Ryan Reynolds, che ora seguirò con piu' attenzione, e l'incredibile presenza di Melissa McCarthy, che illumina ogni scena col suo sorriso, mentre lascia senza fiato l'accompagnamento sonoro, soprattutto nella parte iniziale e quella conclusiva.
Ed ora cercate gli altri 9, dato che questo film lo e' di sicuro un bel 9.

Sublime (2007) di Tony Krantz

Strano film questo Sublime. Osservando il poster potrebbe sembrare il solito filmaccio sulla falsa riga dei torture-horror tanto di moda. Poi ci ficcano dentro pure una tetta vista da tre quarti (che -curiosamente- ho notato mancare dalla versione per certi mercati, e qui si capisce ancora meglio quello che sto per argomentare), segno che il reparto marketing ha svolto il suo compito di rubare qualche noleggio/acquisto a persone che poi resteranno chiaramente deluse da un DVD che non rispecchia cio' che e' sottinteso all'esterno. Fortunatamente evito di farmi sviare da simili trucchetti e quindi, seguendo impressioni positive pescate qua e la' nella navigazione quotidiana, mi sono accinto alla visione. E posso dire di non aver sprecato il mio tempo.
Senza voler troppo spolierare, data la natura particolare della trama, mi limito a dire che viene raccontata la storia del protagonista George, il quale deve sottoporsi ad una operazione di routine in ospedale, ma non tutto va per il verso giusto...
La storia principale e' intervallata da una serie di flashback che aiutano pian piano ad entrare negli eventi ed inquadrare meglio certe scene all'apparenza insensate, non senza tenere sempre sbilanciato lo spettatore con situazioni surreali, che potrebbero infastidire i meno pazienti (vd. nota iniziale sul marketing). Quelli che non hanno fretta vengono invece ricompensati da un'organizzazione narrativa sì derivativa (quello a Jacob's Ladder e' piu' che un omaggio), ma anche interessante e minuziosa, con una risoluzione che, pur nel suo essere qualcosa di gia' visto, non manca di avere cuore e stile (onore al regista e al direttore della fotografia per le riprese geometriche ma mai pretestuose né da videoclip).
Non si puo' nascondere che certe metafore sociali a volte troppo tirate e l'immaginario religioso un po' calcato (nonche' una scena di sesso gratuita, anche se di nuovo vedo lo zampino della produzione) appesantiscano la struttura, ma non abbastanza da penalizzare l'opera, che con coraggio riesce a restare in equilibrio tra horror, thriller e dramma senza per questo perdere le caratteristiche migliori di ognuno dei tre generi. E alla fine restano maggiormente nella memoria gli interessanti e articolati rapporti fra i credibili personaggi che non le comunque presenti scene sanguinose... e pensare che quasi lo scambiavo per Hostel dalla copertina!

giovedì 3 aprile 2008

Land of the Blind (2006) di Robert Edwards

Coraggioso esempio di distopia che, con intelligenza e senza essere troppo scontato, racconta la storia di mille rivoluzioni fallite, usando abilmente episodi storici come ispirazione e lasciando il resto ad una sapiente regia che coinvolge fin dalla prima scena.
Un Ralph Fiennes in grande forma regala una memorabile interpretazione, mentre Donald Sutherland nei panni del rivoluzionario intellettuale ruba la scena in ogni sua apparizione.
La narrazione acronologica ma mai eccessiva, un po' alla Memento (che ricorda anche per la fotografia particolarmente vivida e cruda) da' un ulteriore tocco di classe, e fa risaltare ancora di piu' le contraddizioni e i paradossi di un potere che sembra unicamente una forza in grado di corrompere ogni ideale o morale. E' una visione completamente pessimista e senza possibilita' di salvezza, che culmina nell'allucinato finale con il protagonista ormai alienato da ogni collegamento con la realta' che rinuncia anche alla propria identita', diventando un perfetto nessuno. Inquietante.

mercoledì 2 aprile 2008

Idiocracy (2006) di Mike Judge

Mike Judge, creatore di Beavis e Butthead, dopo il divertentissimo Office Space fa ancora centro con questo nuovo progetto. La storyboard e' tanto semplice quanto geniale: il governo seleziona statisticamente l'uomo medio e la donna media per un esperimento di ibernazione, ma per errore invece di essere risvegliati dopo un anno, si ritrovano 5 secoli nel futuro, in un continente americano completamente cambiato: infatti la popolazione, privata dei naturali predatori naturali, e' diventata talmente pigra e svogliata da perdere pian piano ogni traccia di intelligenza, fino a sfiorare l'idiozia.
Quindi ogni abitante vive in funzione della televisione, incollato alla poltrona e cibandosi solamente di junk food; l'aqua e' stata bandita ed esiste solo un integratore azzurrino, Brawndo:l'ammazza sete, talmente pubblicizzato e spinto dalla multinazionale produttrice da venir usato anche per l'irrigazione dei campi, con conseguenti estinzione della vegetazione e trasformazione in deserto di ampie parti del territorio. Che dire poi di grattacieli che si appoggiano e sostengono l'uno sull'altro per una progettazione errata, o del fatto che Il presidente degli Stati Uniti d'America sia un enorme wrestler nero di nome Dwayne Elizondo Mountain Dew Herbert Camacho?
Sfruttando i paradossi di un personaggio che all'improvviso si ritrova ad essere la persona piu' intelligente del pianeta, assistiamo ad una nerissima analisi dei vizi e difetti di un popolo, quello americano, che non e' poi cosi' lontano da noi come puo' sembrare. E quando incontriamo la scena del parlamento, popolato solo da individui che gridano e si attaccano l'un l'altro mentre il presidente governa il tutto da un palco quasi fosse uno circo, oppure ci accorgiamo dell'onnipresente pubblicita' che invade ogni spazio sui vestiti di tutta la popolazione, e lo confrontiamo con tante cose che si vedono nei nostri tempi, viene da chiedersi se stiamo veramente diventando tutti piu' stupidi senza accorgercene. E forse c'e' un po' meno da ridere di quello che credevamo.