domenica 13 aprile 2008

Ichi the Killer (2001) di Takashi Miike

Ogni volta che penso di essere preparato ad affrontare un film di Miike devo ricredermi, questo ormai e' un dato di fatto! E' successo ultimamente già con Imprint e poi con Visitor Q, ma se ogni opera di questo geniale (o bizzarro?) regista mi stupirà allo stesso modo, devo preparami a molte sorprese, visto che ogni anno dirige anche decine di film, e gli sono accreditate su imdb un'ottantina di pellicole... ed ha 47 anni, quindi fate voi la media.
Lasciando da parte le curiosità statistiche, sono rimasto letteralmente con gli occhi sbarrati per tutta la visione. Ispirato dall'omonimo manga, racconta la storia di un mal assortito gruppo di yakuza presi in un sanguinoso vortice di vendetta. Può sembrare la classica ambientazione di molti film che ci arrivano dal Giapppone, ma il mondo surreale messo in scena è qualcosa di inedito.
Le vicende ruotano attorno a due killer: il primo fa parte di una banda criminale, mentre il secondo è un giovane con grosse turbe psichiche, capace delle più terribili altrocità, che viene utilizzato come un burattino dal deus ex machina della situazione, un Shinya Tsukamoto in cerca di vendetta nell'ambiente mafioso di Tokio, e che dà il via alla lunga serie di uccisioni/torture che seguirà. Sono i due poli magnetici di una violenza che guida ogni azione. Diversi nel percorso che li ha portati ad essere tali, ma identici nell'essere capaci di esprimersi solamente in rapporto alla sofferenza, sia data che subita. La loro esistenza gira intorno a questo fulcro, in un parossismo guidato dalla situazione che precipita di scena in scena, senza che possano aver modo di cambiare in nessun modo il loro destino. Uno fatto per portare il dolore, l'altro che gode nel riceverlo, le loro strade non possono che incrociarsi, nel peggiore dei modi.
L'analisi dei due personaggi e la loro antitesi da sole riescono a dare un ritratto moralmente dubbio ma di grande forza cinematografica che riesce a non perdersi mai nella narrazione, per quanto prolissa. Grazie all'uso continuo dell'eccesso e dell'humor nero andiamo oltre al banale film horror con ambientazione gangster, arrivando dritti ad una precisa critica, che non risparmia nulla alla società giapponese, sia questa la dipendenza dalla violenza (fisica ma soprattutto psicologica) o l'alienazione dei giovani, senza dimenticare la perdita d'identità della famiglia (tema affrontato più dettagliatamente proprio in Visitor Q). Violenza che diventa protagonista di ogni scena, stilizzata e sporca, ma che miracolosamente riesce, allo stesso tempo, a non essere mai gratuita. Per non parlare poi degli incredibili personaggi: basti pensare ai due poliziotti gemelli, talmente corrotti da rivelarsi peggiori dei banditi, o lo stesso killer in tutina da supereroe, ma tutti indistintamente acquisiscono plausibilità nello strano mondo creato dal film.
E sono riuscito a non parlare della scena della tortura.

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