L'inseguimento continua, ora sono a -51, vediamo che si combina oggi.
come al solito (*) denota i consigliati
Vite difficili - Alway outnumbered (1998) di Michael Apted
Un ex detenuto tenta di reintegrarsi nella società, lottando contro pregiudizi e cercando una difficile redenzione. Un grandissimo Fishburne nei panni del protagonista Socrates.
The hard word (2002) di Scott Roberts
Torniamo al discorso sui film australiani. Sono sconosciuti, sono strani ma vale sempre la pena dargli una possibilità. Questo racconta di una rapina in banca pianificata da tre fratelli uno più pazzo dell'altro. Ricorda molto il Guy Ritchie di Lock & Stock, ma con altrettante buone idee e grandi caratterizzazioni. Divertentissimo e inaspettato.
Eagle Eye (2008) di D.J. Caruso
Nemico pubblico aggiornato alle nuove tecnologie e mischiato con Phone Boot. Riciclaggio di idee che comunque non è completamente da buttare. E poi chiamarsi DJ Caruso è tanta roba.
Reservation Road (2007) di Terry George
In un banale incidente d'auto un bambino perde la vita di fronte agli occhi del padre. Il guidatore scappa ma dovrà convivere con la sua scelta.
Dolorosa riflessione sugli effetti delle proprie azioni e il rimorso. Buono lo studio psicologico dei personaggi anche se alcune forzature nella sequenza degli eventi detrae dalla forza del messaggio.
The strangers (2008) di Bryan Bertino
Due fidanzati (con problemi) sono terrorizzati da tre sconosciuti assalitori. Premessa semplice per un esecuzione che non delude grazie alla cruda ma precisa sceneggiatura. Non si grida al miracolo, ma sempre meglio dello slasher medio.
Step brothers (2008) di Adam McKay
Mettendo assieme Will Ferrel e John C. Reilley credevo di andare a colpo sicuro, invece la formula apatowiana comincia a mostrare i suoi limiti, nonostante almeno una manciata di scene siano divertenti. Ferrel ormai è un po' l'ombra di se stesso, inarrivabile come spalla (vedi Old School), da personaggio principale ci possono essere problemi. Sappiamo che Reilley sa fare molto di meglio quindi lo perdoniamo.
You don't mess with the Zohan (2008) di Dennis Dugan
Iniziamo dal tralasciare il titolo italiano, per favore. Da uno che nella sua carriera ha girato Beverly Hills Ninja non ti aspetteresti molto, nonostante ciò, forse grazie al physique du role di Sandler, Zohan riesce a risultare talmente assurdo e sopra le righe da regalare una continuità di divertimento ad una trama che presentava il rischio di essere solamente una raccolta di scenette. Personaggi stereotipati talmente convinti non possono che meritare rispetto. Una scena su tutte: quella della segreteria automatica con la voce guida per assistere i terroristi nella preparazione di attentati: "Welcome To Helzobolla customer service..."
La ragazza del lago (2006) di Andrea Molaioli (*)
Ogni tanto un film italiano così serve a ridarti un po' di fiducia. Fiducia che i nostri registi sanno ancora raccontare storie, storie legate al territorio come questa, ma con una forza narrativa universale che sembrava essere dimenticata dalle produzioni che vengono spinte a forza in tv e al cinema. E il fatto che sia l'esordio di Molaioli è ancora più notevole. Con la speranza che prosegua la carriera altrettanto bene, non posso che consigliare questa amara crime story di provincia, che sotto la superficie è una storia d'amore e tristezza, senza bianco o nero ma percorsa da un noir tratteggiato con sapiente fotografia e interpretazioni eccelse, uno su tutti Toni Servillo, che di nuovo si dimostra l'attore italiano numero uno del momento.
Fuga da Seattle (2002) di James Cox (*)
Leto & Gyllenhaal sono due amici che scappano da Vegas per sfuggire ai casini combinati, ma è molto di più del solito film on the road. La loro grande interpretazione convince su tutti i fronti nel dare vita ad un'atipica storia di amicizia, intramezzata dai bizzarri incontri in direzione Seattle, alcuni dei quali memorabili, come quello con l'uomo coccodrillo o la sosta al surreale bordello. Oltretutto stilisticamente ha delle grandi idee e un'ottima fotografia. Promosso a sorpresa. E se non vi piacciono i primi 5 minuti potete pure lasciarmi un commento
Burn after reading (2008) di Ethan e Joel Coen (*)
I fratelli Coen ci regalano un'altra nerissima commedia in bilico fra l'humor de Il Grande Lebowski e l'amarezza di Fargo, che ridipinge l'immaginario spionistico in un epoca che lo spoglia di ogni suo fascino. Personaggi impensabili portati con professionalità sullo schermo dai grossi nomi coinvolti fanno il resto. Non sto nemmeno a introdurre la storia che alla fine è quasi un pretesto per parlare dei vizi americani (e non solo) a ruota libera.
Il curioso caso di Benjamin Button (2008) di David Fincher (*)
Un film ambizioso e corale come non se ne vedevano dai tempi di Forrest Gump. L'ultimo di Fincher riesce a convincere nonostante alcuni difetti come l'eccessiva prolissità, l'indulgenza e il buonismo su alcuni passaggi ma soprattutto l'inserimento a-la Titanic della storia letta dal diario, poichè a mia opinione avrebbe funzionato benissimo anche con un'altra e meno abusata meccanica narrativa. Ma questi particolari rendono ancora più viva e piacevole la visione di questo signor film, pieno di fantastici tocchi di classe, complesso, colmo di intuizioni, quasi epico e foriero di interessanti riflessioni sulla natura del tempo e su come trasformi ogni cosa in maniera imprevedibile. Cate Blachett inarrivabile, riesce a mettere in ombra la pur bellissima interpretazione di Brad Pitt.
The man from earth (2007) di Richard Schenkman (*)
Una manciata di attori, una sola location, budget limitatissimo (200.000 $) ricordano come il cinema non sia solo grandi produzioni. E infatti ci troviamo di fronte ad un film di valore assoluto, con forse uno degli script più intelligenti e brillanti mai portati sullo schermo. Completamente basato sui dialoghi, riesce ad tenerti incollato allo schermo dall'inizio alla fine con una storia geniale nella sua semplicità ma portata avanti con un'arguzia notevole e una precisione scientifica rigorosa. E alla fine forse anche voi non saprete che pensare...
Un ritorno alle origini, quelle di una fantascienza fatta di parole e sentimenti, idee e congetture, che non ha bisogno di astronavi ed esplosioni per far riflettere.
PS: Purtroppo si trova solo sottotitolato in italiano, ma fate questo sforzo, vi garantisco ne varrà la pena.
Pride & Glory (2008) di Gavin O'Connor
Poveri noi, e povero Edward Norton che non ne azzecca più una. Se volete qualcosa di simile, ma bello, fatevi un piacere e guardate I padroni della notte o Harsh times.
Frontière(s) (2008) di Xavier Gens
Siamo sempre sul terreno di The Texas Chainsaw Massacre (o Hostel), ma con un po' più di palle del solito e qualche scena memorabile (maiali anyone?). La famigliola nazista non è male, ma torniamo sempre a Leatherface a volerla dire tutta... Protagonisti bravi e belli, tutti e quattro, ma c'è la solita lotteria-morti. Interessante l'inquadramento socio-politico delle rivolte parigine. Comunque un film così gli americani se lo sognano, pace all'anima di Tobe Hopper.
Sfida senza regole (2008) di Jon Avnet
Dovrei imparare ad ascoltare i consigli a volte. Ma devo sbatterci la testa per capire quanto in basso si possa scendere. Ahi! Pover Robert e Al, ricordiamoli con un sorriso in Heat va là.
Drillbit Taylor (2008) di Steven Brill
Commediola senza infamia nè lode con Owen Wilson. Si vede che in qualche scena ha poca voglia si sbattersi, ma ci mette il minimo sindacale e qualcosa viene bene. Buono per una serata senza pensieri.
The abandoned (2006) di Nacho Cerdà
Un po' una delusione, ghost story sconclusionata che si salva solo grazie ad una grande fotografia e alcune scene realmente angoscianti.
Death race (2008) di Paul W.S. Anderson
Divertente remake del film con Stallone del 1975. Jason fa sempre la sua porca figura ed è cazzuto oltre ogni limite. Si intuisce ogni scena dalla precedente, ma il montaggio frenetico supplisce le mancanze di sceneggiatura trasformando tutte le inquadratura in un realistico videogame. Ci vorrebbe un'introduzione al rallenty anche per questo post.
11:59 (2005) di Jamin Winans
Ambizioso esordio con un soggetto inusuale che tira in ballo una complicata storia di misteri e viaggi nel tempo che si chiarisce solo alla fine nella sua pienezza. Si vede un po' l'inesperienza, ma le qualità ci sono, e pure il coraggio, vedremo che ne verrà in futuro.
domenica 3 maggio 2009
sabato 2 maggio 2009
Pulizie di primavera 3
Più provo a tornare in pari più la lista si allunga... sembra la storia della mia vita!
Non garantisco nulla sullo stile, nè sulla forma, ormai conta solo ridurre il distacco. Perdonatemi.
(come al solito (*) denota i consigliati )
Be kind rewind (2007) di Michel Gondry (*)
Grandioso! Non è l'indimenticabile Eternal sunshine of the spotless mind ma riesce nella difficile impresa di rendere interessante un soggetto che poteva sembrare buono per appena qualche clip su youtube. Mos Def lascia il segno e Jack Black non tradisce. Lacrimuccia per l'appassionato omaggio al cinema di tutta la pellicola.
Three dollars (2005) di Robert Connolly
Per la serie "film australiani sconosciuti" perla numero uno. Storia realistica e commuovente di un uomo qualunque che si trova da un momento all'altro senza nulla.
Le morti di Ian Stone (2007) di Dario Piana
Interessante film in bilico tra il thriller e l'horror, non innovativo ma accattivante, ma soprattutto ricordo che il regista è italiano. Vedendo la qualità si capisce perchè è stato accolto ad Hollywood, mentre qua oltre ai molti videoclip ha avuto poco spazio. E a noi restano i cinepanettoni e le fiction tv me(r)diaset.
P2 Livello del terrore (2007) di Franck Khalfoun
Trascurabile thriller clustrofobico. Poco credibile.
Charlie Bartlett (2007) di Jon Poll (*)
Amara e intelligente commmedia/drama che riesce a dire qualcosa di nuovo sui giovani. Bella parte di Robert Downey Jr, preside alcolizzato che altro!
Funny games (2007) di Michael Haneke (*)
A 10 anni di distanza Haneke riesce ancora a lasciare il pubblico agghiacciato. Questa violenza sbattuta in faccia è quasi dolorosa, e i sottotesti sociali fanno il resto nel ribadire un capolavoro di stile e sostanza. Grandiosa Naomi Watts, anche se continuo a preferire l'originale del 1997, ma non ditelo a nessuno.
Bug (2007) di William Friedkin
Angosciante discesa nella psicosi di una coppia sbandata. Ha i suoi momenti ma si perde nella parte principale.
The Millionaire (2008) di Danny Boyle (*)
A questo punto arrivo tardi per dire qualsiasi cosa. Ma se qualche persona in più mi avesse ascoltato appena è uscito in sordina in poche sale, non ci sarebbe stato tutto questo stupore al momento degli Oscar. Danny Boyle si dimostra di nuovo il regista più eclettico attualmente sulla scena. E non sbaglia un colpo!
Doomsday (2008) di Neil Marshall (*)
Divertente e caciaro come il Carpenter dei tempi di Fuga da New York. Un ottovolante dall'inizio al non scontato finale, ce ne fossero di più di pellicole così!
Non aspettatevi sofisticatezze artistiche, ma non lamentatevi altrimenti Rhona Mitra vi prende a calci nel culo.
I love movies (2008) di Paul Soter (*)
Una commedia romantica che dovrebbe fare scuola in questa triste epoca post-Notting Hill. Divertente, non banale ma soprattutto che distrugge le convenzioni del corteggiamento. Cillian Murphy e Lucy Liu fanno scintille come poche altre coppie sullo schermo. Dategli una possibilità anche se odiate il genere.
Lila dice (2008) di Ziad Doueiri (*)
Una sensibile, triste e sensuale storia d'amore ambientata nei meno conosciuti sobborghi di Parigi, che apre gli occhi sui veri effetti dell'ignoranza e dei pregiudizi, e che spiega il delicato equilibrio tra fantasia e realtà. Strepitosa Vahina Giocante nei panni della protagonista.
Pineapple Express (2008) di David Gordon Green
Divertente stoner comedy girata con stile. Niente di imperdibile tranne James Franco che finalmente ha trovato il suo ruolo...
Felon (2008) di Ric Roman Waugh (*)
Prison movie coi controcazzi. Stephen Dorff ai massimi storici è tostissimo nel ruolo di un uomo innocente bloccato in prigione dalla burocrazia e dalla dura legge della violenza. Val Kilmer in grande spolvero non sbaglia una scena. Era da American History X che non vedevo delle scene del genere. Promosso assolutamente.
Rovine (2008) di Carter Smith
Rovine sta qua solo perchè la voce del trailer italiano era troppo assurda. Cupa e cavernosa... MILLE ANNI FA.... ROVIIIINEEE!!! Imperdibile, e degno di Maccio Capatonda.
Tornando al film... la storia ne ricalca almeno altri 5 senza nemmeno pensarci troppo, ma risulta piacevole e ben girato, complice la location affascinante, nonchè interpretato da qualche faccia nuova che potrebbe avere un futuro. Potete guardarlo senza vergogna dai...
Reeker (2005) di Dave Payne
In italiano sarebbe Il puzzone... peccato i titolisti nostrani non si siano sdati come al solito, questa volta avremmo avuto un sicuro cult. Tolto ciò nulla di notevole, il regista fa il suo lavoro e a parte qualche idea simpatica (ma non troppo nuova) si va sempre a finire sui soliti terreni.
Fratelli per la pelle (2008) di Peter e Bobby Farrelly
Attenzione, commedia divertente e intelligente! Non è facile trovarne ormai, e bisogna dire che il duo alla regia, nonostante abbia perso un po' di smalto dai tempi di Tutti pazzi per Mary, riesce ancora ad avere il guizzo geniale che deve sempre esserci in queste produzioni. Matt Demon si fa da parte (in ogni senso, e vedendolo capirete perchè) alla grande interpretazione di Greg Kinnear. Provate solo a pensare alle differenze fra questo e uno a scelta fra Hot/Date/Epic/... Movie. Commedia americana, ma vaffanculo.
Zombie Strippers (2008) di Jay Lee
Jenna Jameson e Robert Englund. Insieme. In un film con gli zombi. Raccattate la mascella dopo aver letto l'assortita coppia e non prendete troppo sul serio questa demenziale opera degna dei migliori exploitation. Tra le scene assurde riesce persino a dire due cose divertenti sulla situazione politica americano pre-Obama, e fa sorridere non poco. Poi restano le tette e gli zombi.
Otis (2008) di Tony Krantz (*)
Mi ero già occupato di questo regista tempo fa con l'interessante Sublime, ma qua siamo ben oltre le aspettative. Commedia horror nerissima ed efficace come poche negli ultimi tempi, che omaggia senza timore i classici mettendci pure una serrata critica all'ubiquità e al sadismo dell'informazione televisiva, anche se la vera protagonista è la famiglia, in tutti i suoi crudi limiti. E il bonario (all'apparenza) protagonista è un cattivo che non si dimentica. Nel dubbio guardatevi pure il finale alternativo, ancora più divertente.
Stuck (2007) di Stuart Gordon (*)
Avevamo lasciato il regista con il brillante Edward, e lo ritroviamo con una pellicola altrettanto inquietante e furbetta. La storia, semplice, racconta di un uomo che in un incidente resta incastrato nel parabrezza di un auto che lo ha investito. La guidatrice, per non avere problemi con la legge, decide di nasconderlo nel suo garage, ancora incastrato...
Mena Suvari porta in scena un personaggio pieno di tick e debolezze ma idealmente buono, che con le migliori intenzioni crea una situazione surreale il cui sviluppo va oltre ogni previsione. Favoloso il suo fidanzato, un nero enorme che fa sempre il gradasso ma alla fine si rivela di tutt'altra stoffa. Godibilissimo lo sviluppo e bel finale.
Redbelt (2008) di David Mamet (*)
Questo personaggio continua a stupirmi. Quando non è impegnato a sceneggiare per il teatro o per altri registi ci regala opere come questa.
Dolorosa storia di vita vera, segue le gesta di un maestro di arti marziali che viene portato al fallimento finanziario con l'imbroglio, rischia di perdere tutto ciò in cui crede, lo perde ma riesce a mantiene la dignità in una storia amarissima nel suo realismo. Il protagonista Chiwetel Ejiofor è un gigante in una parte non facile e ipnotizza in ogni secondo della sua performance. Da non perdere.
Mirrors (2008) di Alexandre Aja
Che devo dire? Io di Aja mi sono innamorato dopo Alta Tensione e guardo ogni suo film con la speranza di trovare il nuovo colpaccio. Spesso resto un po' deluso (Le colline hanno gli occhi non era nulla di imperdibile, pur facendo il suo), ma fortunatamente questa volta va meglio.
Per lo meno si fa vedere e un paio di sequenze sono notevoli, anche se la parte finale a posteriori è un po' troppo con il pilota automatico, con almeno una scena che DOVEVA essere evitata, ma siamo ad Hollywood e la Francia è lontana. Kiefer Sutherland dimostra di avere ancora le qualità, nonostante si trascini un po' troppo per metà film.
Shattered (2008) di Mike Barker
Simpatico thriller con Pierce Brosnam che fa lo stronzo. Lo si guarda tutto d'un fiato, anche perchè questa volta il colpo di scena a tutti i costi sembra essere funzionale.
Non garantisco nulla sullo stile, nè sulla forma, ormai conta solo ridurre il distacco. Perdonatemi.
(come al solito (*) denota i consigliati )
Be kind rewind (2007) di Michel Gondry (*)
Grandioso! Non è l'indimenticabile Eternal sunshine of the spotless mind ma riesce nella difficile impresa di rendere interessante un soggetto che poteva sembrare buono per appena qualche clip su youtube. Mos Def lascia il segno e Jack Black non tradisce. Lacrimuccia per l'appassionato omaggio al cinema di tutta la pellicola.
Three dollars (2005) di Robert Connolly
Per la serie "film australiani sconosciuti" perla numero uno. Storia realistica e commuovente di un uomo qualunque che si trova da un momento all'altro senza nulla.
Le morti di Ian Stone (2007) di Dario Piana
Interessante film in bilico tra il thriller e l'horror, non innovativo ma accattivante, ma soprattutto ricordo che il regista è italiano. Vedendo la qualità si capisce perchè è stato accolto ad Hollywood, mentre qua oltre ai molti videoclip ha avuto poco spazio. E a noi restano i cinepanettoni e le fiction tv me(r)diaset.
P2 Livello del terrore (2007) di Franck Khalfoun
Trascurabile thriller clustrofobico. Poco credibile.
Charlie Bartlett (2007) di Jon Poll (*)
Amara e intelligente commmedia/drama che riesce a dire qualcosa di nuovo sui giovani. Bella parte di Robert Downey Jr, preside alcolizzato che altro!
Funny games (2007) di Michael Haneke (*)
A 10 anni di distanza Haneke riesce ancora a lasciare il pubblico agghiacciato. Questa violenza sbattuta in faccia è quasi dolorosa, e i sottotesti sociali fanno il resto nel ribadire un capolavoro di stile e sostanza. Grandiosa Naomi Watts, anche se continuo a preferire l'originale del 1997, ma non ditelo a nessuno.
Bug (2007) di William Friedkin
Angosciante discesa nella psicosi di una coppia sbandata. Ha i suoi momenti ma si perde nella parte principale.
The Millionaire (2008) di Danny Boyle (*)
A questo punto arrivo tardi per dire qualsiasi cosa. Ma se qualche persona in più mi avesse ascoltato appena è uscito in sordina in poche sale, non ci sarebbe stato tutto questo stupore al momento degli Oscar. Danny Boyle si dimostra di nuovo il regista più eclettico attualmente sulla scena. E non sbaglia un colpo!
Doomsday (2008) di Neil Marshall (*)
Divertente e caciaro come il Carpenter dei tempi di Fuga da New York. Un ottovolante dall'inizio al non scontato finale, ce ne fossero di più di pellicole così!
Non aspettatevi sofisticatezze artistiche, ma non lamentatevi altrimenti Rhona Mitra vi prende a calci nel culo.
I love movies (2008) di Paul Soter (*)
Una commedia romantica che dovrebbe fare scuola in questa triste epoca post-Notting Hill. Divertente, non banale ma soprattutto che distrugge le convenzioni del corteggiamento. Cillian Murphy e Lucy Liu fanno scintille come poche altre coppie sullo schermo. Dategli una possibilità anche se odiate il genere.
Lila dice (2008) di Ziad Doueiri (*)
Una sensibile, triste e sensuale storia d'amore ambientata nei meno conosciuti sobborghi di Parigi, che apre gli occhi sui veri effetti dell'ignoranza e dei pregiudizi, e che spiega il delicato equilibrio tra fantasia e realtà. Strepitosa Vahina Giocante nei panni della protagonista.
Pineapple Express (2008) di David Gordon Green
Divertente stoner comedy girata con stile. Niente di imperdibile tranne James Franco che finalmente ha trovato il suo ruolo...
Felon (2008) di Ric Roman Waugh (*)
Prison movie coi controcazzi. Stephen Dorff ai massimi storici è tostissimo nel ruolo di un uomo innocente bloccato in prigione dalla burocrazia e dalla dura legge della violenza. Val Kilmer in grande spolvero non sbaglia una scena. Era da American History X che non vedevo delle scene del genere. Promosso assolutamente.
Rovine (2008) di Carter Smith
Rovine sta qua solo perchè la voce del trailer italiano era troppo assurda. Cupa e cavernosa... MILLE ANNI FA.... ROVIIIINEEE!!! Imperdibile, e degno di Maccio Capatonda.
Tornando al film... la storia ne ricalca almeno altri 5 senza nemmeno pensarci troppo, ma risulta piacevole e ben girato, complice la location affascinante, nonchè interpretato da qualche faccia nuova che potrebbe avere un futuro. Potete guardarlo senza vergogna dai...
Reeker (2005) di Dave Payne
In italiano sarebbe Il puzzone... peccato i titolisti nostrani non si siano sdati come al solito, questa volta avremmo avuto un sicuro cult. Tolto ciò nulla di notevole, il regista fa il suo lavoro e a parte qualche idea simpatica (ma non troppo nuova) si va sempre a finire sui soliti terreni.
Fratelli per la pelle (2008) di Peter e Bobby Farrelly
Attenzione, commedia divertente e intelligente! Non è facile trovarne ormai, e bisogna dire che il duo alla regia, nonostante abbia perso un po' di smalto dai tempi di Tutti pazzi per Mary, riesce ancora ad avere il guizzo geniale che deve sempre esserci in queste produzioni. Matt Demon si fa da parte (in ogni senso, e vedendolo capirete perchè) alla grande interpretazione di Greg Kinnear. Provate solo a pensare alle differenze fra questo e uno a scelta fra Hot/Date/Epic/... Movie. Commedia americana, ma vaffanculo.
Zombie Strippers (2008) di Jay Lee
Jenna Jameson e Robert Englund. Insieme. In un film con gli zombi. Raccattate la mascella dopo aver letto l'assortita coppia e non prendete troppo sul serio questa demenziale opera degna dei migliori exploitation. Tra le scene assurde riesce persino a dire due cose divertenti sulla situazione politica americano pre-Obama, e fa sorridere non poco. Poi restano le tette e gli zombi.
Otis (2008) di Tony Krantz (*)
Mi ero già occupato di questo regista tempo fa con l'interessante Sublime, ma qua siamo ben oltre le aspettative. Commedia horror nerissima ed efficace come poche negli ultimi tempi, che omaggia senza timore i classici mettendci pure una serrata critica all'ubiquità e al sadismo dell'informazione televisiva, anche se la vera protagonista è la famiglia, in tutti i suoi crudi limiti. E il bonario (all'apparenza) protagonista è un cattivo che non si dimentica. Nel dubbio guardatevi pure il finale alternativo, ancora più divertente.
Stuck (2007) di Stuart Gordon (*)
Avevamo lasciato il regista con il brillante Edward, e lo ritroviamo con una pellicola altrettanto inquietante e furbetta. La storia, semplice, racconta di un uomo che in un incidente resta incastrato nel parabrezza di un auto che lo ha investito. La guidatrice, per non avere problemi con la legge, decide di nasconderlo nel suo garage, ancora incastrato...
Mena Suvari porta in scena un personaggio pieno di tick e debolezze ma idealmente buono, che con le migliori intenzioni crea una situazione surreale il cui sviluppo va oltre ogni previsione. Favoloso il suo fidanzato, un nero enorme che fa sempre il gradasso ma alla fine si rivela di tutt'altra stoffa. Godibilissimo lo sviluppo e bel finale.
Redbelt (2008) di David Mamet (*)
Questo personaggio continua a stupirmi. Quando non è impegnato a sceneggiare per il teatro o per altri registi ci regala opere come questa.
Dolorosa storia di vita vera, segue le gesta di un maestro di arti marziali che viene portato al fallimento finanziario con l'imbroglio, rischia di perdere tutto ciò in cui crede, lo perde ma riesce a mantiene la dignità in una storia amarissima nel suo realismo. Il protagonista Chiwetel Ejiofor è un gigante in una parte non facile e ipnotizza in ogni secondo della sua performance. Da non perdere.
Mirrors (2008) di Alexandre Aja
Che devo dire? Io di Aja mi sono innamorato dopo Alta Tensione e guardo ogni suo film con la speranza di trovare il nuovo colpaccio. Spesso resto un po' deluso (Le colline hanno gli occhi non era nulla di imperdibile, pur facendo il suo), ma fortunatamente questa volta va meglio.
Per lo meno si fa vedere e un paio di sequenze sono notevoli, anche se la parte finale a posteriori è un po' troppo con il pilota automatico, con almeno una scena che DOVEVA essere evitata, ma siamo ad Hollywood e la Francia è lontana. Kiefer Sutherland dimostra di avere ancora le qualità, nonostante si trascini un po' troppo per metà film.
Shattered (2008) di Mike Barker
Simpatico thriller con Pierce Brosnam che fa lo stronzo. Lo si guarda tutto d'un fiato, anche perchè questa volta il colpo di scena a tutti i costi sembra essere funzionale.
sabato 14 marzo 2009
Pulizie di primavera 2
The cleaner is back, come direbbe Vin "Tamarro" Diesel...
In Bruges (2008) di Martin McDonagh (*)
Fantastico Colin Farrel, il suo monociglio imbronciato questa volta non perdona. Una sceneggiatura originale letteralmente da Oscar, che senza nessuna paura racconta un'intricata vicenda di killer, refurtive e soprattutto nani. Come sbagliare? E poi Bruges sembra veramente bellissima, per quanto il protagonista la pensi diversamente. Fatevi un piacere e guardatelo.
The Oxford Murder (2008) di Alex De La Iglesia
Uno dei miei registi preferiti alla prima produzione americana torna a dirigere un thriller interessante ma abbastanza convenzionale, che non gli permette di esprimere tutta la sua carica anarchica e nera che ha segnato le sue opere precedenti. Maledetta Hollywood, ma fortunatamente non ce lo siamo giocati.
Il treno per Darjeeling (2007) di Wes Anderson (*)
Doloroso ma brillante e mai banale viaggio di formazione di tre fratelli nella mistica India. Wilson, Brody e Shwartzman creano uno dei terzetti più affiatati degli ultimi tempi, e il resto lo fa il nostro Wes Anderson, riuscendo a reinventarsi ad ogni film senza cadute di stile o sostanza. Un non-viaggio brillante, divertente, triste e gioioso allo stesso tempo. E le carrellate o quel ralenty sui protagonisti non ci stancheranno mai.
Lost things (2003) di Martin Murphy
Un film low budget australiano abbastanza interessante. Lascia la facile strada del classico slasher per dirigersi in territori quasi lynchiani. Partendo dal classico incipit "ragazzi in una sperduta spiaggia per un weekend di mare" mette in campo un'interessante analisi psicologica che ha i suoi momenti. Qualche idea interessante con delle prospettive angoscianti girate molto bene, ma purtroppo nel complesso non regge la durata, anche se sono sicuro che come mediometraggio avrebbe avuto altro valore.
Il Petroliere (There will be blood) (2007) di Paul Thomas Anderson (*)
Corposa, epica e spietata analisi dello spirito americano, raccontata sulla pelle di un cercatore di petrolio. Arrivo per ultimo a parlare di questo capolavoro, ma non posso esimermi dal ricordare la devastante coerenza con cui viene messa in scena la triste commedia umana in una nera metafora che ha ben poco a che fare con l'espiazione. Daniel Day-Lewis fa il resto.
21 (2008) di Robert Luketic
Ho letto il fantastico libro da cui è tratto questo film e posso solo dire che la banalità della trasposizione non aiuta la già leggera qualità della pellicola, che perde molto del suo potenziale a favore di una presunta digeribilità mainstream. Piacevole per una serata senza pretese, ma se volte qualcosa che parla più seriamente di Vegas optate per The cooler o meglio ancora sul classico Sydney.
Il divo (2008) di Paolo Sorrentino (*)
Agghiacciante. E' la parola che meglio esprime i miei sentimenti durante la visione della romanzata vita di Giulio Andreotti. Senza scendere in sterili discussioni politiche, vedere come le cose che sembrerebbero cambiate restino in realtà sempre uguali nella "piccola" realtà italiana fa veramente più paura che tristezza. E forse le figure familiari ma allo stesso tempo aliene che ci presenta Sorrentino fanno accaponare la pelle più dei personaggi che hanno popolato le opere di Coppola o Scorsese. Dobbiamo preoccuparcene?
La notte non aspetta (Street Kings) (2008) di David Ayer (*)
Il regista dell'ottimo esordio Harsh Times fa ancora centro con un'altra storia di poliziotti corrotti, che si nutre della dualità bene/male insita nei rapporti umani e che caratterizza notevolmente un mestiere sempre al centro della filmografia americana. Spesso questo genere cinematografico si perde nell'idealizzazione dei personaggi, fortunatamente in questa pellicola, grazie ad una accurata costruzione psicologica dei protagonisti, viene stabilito un legame e solo a seguire la storia, riuscendo a coinvolgere senza mezzi termini.
Gardener of Eden (2008) di Kevin Connoly
Film strano, sempre in bilico fra il dramma e l'humor più nero. Il protagonista dopo aver sventato uno stupro diventa l'eroe locale, e sentendosi bene nel ruolo casualmente assegnatogli, si mette in testa di diventare una specie di giustiziere/super eroe, arrivando persino a creare le situazioni di pericolo per poterle risolvere. Ma la bizzarra trama non è che il mezzo per analizzare le paure e i bisogni di una società che apaticamente si trascina in un campo di battaglia, tra tutti i problemi che inconsapevolmente coltiva nel suo stesso grembo, senza vedere una soluzione praticabile. Purtroppo l'interessante struttura non funziona fluidamente per tutta la durata, ma ha molti buoni momenti e di sicuro lascia un segno positivo e coraggioso in mezzo a troppi film sempre uguali.
Postal (2007) di Uwe Boll
Uwe Boll e Bin Laden, non serve dire altro. Il dichiaratamente peggior regista contemporaneo gira un incommentabile minestrone di umore di bassa lega, politically scorrect e qualche simpatica comparsata, ma nell'insieme resta un film insignificante, se non per il fattore scult che potrebbe regalare qualche risata, non fosse altro che l'assurda parte su Little Germay con Uwe stesso vestito alla tirolese!
PS: Per i conoscitori del videogioco omonimo, il Postal Dude spacca di brutto, e riesce perfino a usare il gatto-silenziatore.
Tropic Thunder (2008) di Ben Stiller (*)
Grandi mezzi produttivi e un cast incredibile regalano una delle commedie più divertenti degli ultimi anni. Tom cruise nei panni di Les Grossman da solo meriterebbe una pellicola a parte. Ma Zoolander resta inarrivabile a mio parere ;-)
WALL·E (2008) di Andrew Stanton
Una favola postmoderna quasi da cinema muto che nei silenzi racconta una storia senza tempo, due protagonisti indimenticabili che ci ricordano la vera magia del cinema animato che parla agli spettatori di ogni età.
Fortunatamente la Pixar continua a sfornare capolavori, ma purtroppo spesso rischiano di perdere la meritata esposizione in mezzo alle mille altre uscite trappola stile Dreamworks (ma non solo), che tranne poche eccezioni hanno rotto con le loro parodie animalose di questo e quel film, infarcite di citazioni e sempre accompagnate dalle canzoni dei mitici anni 'xx o 'yy, che tanto piacciono ai genitori e li fanno sentire ggggiovani. Meno leoni/zebre/pinguini e più robot.
mercoledì 14 gennaio 2009
Pulizie di primavera 1
Quanto tempo... ritorno in questi lidi dopo una lunga assenza dovuta ad impegni di real life, ma nonostante tutto voglio recuperare almeno concettualmente, per cui passo direttamente alla (lunga) lista delle pellicole che ho visto dopo l'ultimo post.
Alcuni film avranno solamente il titolo, su altri spenderò qualche parola in più, ma senza nessuno criterio, come viene. Soluzioni più lineari non ne vedo, vista la mole di titoli da affrontare, per cui partiamo...
[Nota: (*) l'asterisco indica i consigliati]
Into the wild (2007) di Sean Penn (*)
Grandiosa elegia della vita selvaggia. Uno sprono al (dimenticato?) piacere della scoperta, in senso non solo geografico. Pur essendo molto fedele nei confronti del materiale originale (il libro), a volte sfiora l'agiografia, ma riesce senza problemi a convincere fino alla fine.
Intacto (2001) di Juan Carlos Fresnadillo
Una complicata ed interessante trama non basta a reggere tutto il film, che cede notevolmente una volta capito l'arguto twist narrativo. Cio' non toglie che alcune sequenze, come la corsa bendata fra gli alberi, sono di grande classe.
Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì (*)
Lucidissimo affresco generazionale. Non ci si puo' che riconoscere nella drammatica satira sociale di Virzì, retta da grandi interpretazioni (con una incredibile Ferilli nell'interpretazione della vita) e tanta sostanza. I personaggi bucano lo schermo nella loro singolare identità e commuovono senza usare i facili trucchi tanto abusati nelle produzioni italiche (sigh!). E persino la scena più goliardica colpisce per il perfetto uso della macchia da presa: carrellate, campo e controcampo al servizio del dialogo, non sono cosa da tutti i giorni. E non ridete!
Isolation (2005) di Billy O'Brien
Horror rurale con mucche? Ci credevo, ma dopo un inizio con la giusta tensione si svacca (!) nella parte finale, con scene che sembrano prese pari pari da Alien. E non e' un bene credo.
Dead birds (2004) di Alex Turner
Altro horror/thriller. Questa volta ambientato durante la guerra di secessione americana, ladri fuggitivi, casa dei fantasmi, bla bla bla. Noto con piacere che la scrittura a distanza mi aiuta a inquadrare meglio alcune cose: se non ricordo niente di particolare vuol dire proprio quello, ma per una serata agile fece il suo dovere.
Americani (Glengarry Glen Ross)(2004) di James Foley (*)
Che filmone ragazzi. Se prendi un pezzo teatrale di David Mamet e ci aggiungi un cast a dir poco stellare (Al Pacino, Jack Lemmon, Ed Harris, Alec Baldwin, Kevin Spacey), vedrai che, anche se ti chiami James Foley e qualche anno prima hai diretto una porcheria con Madonna, non sbaglierai.
Pacino nei panni di Ricky Roma si dimostra ancora un mostro di bravura, ma non e' da meno nessuno degli altri, che con un set di 3 stanze 3 fa vedere cosa possa fare una sceneggiatura serratissima, fatta di dialoghi realistici ma che non perdono mai di vista la Storia. Il numero di fuck pronunciati (138) è assolutamente notevole.
Da recuperare assolutamente, anche perchè in Italia è passato inosservato, forse reperibile solo in cassetta o via mulo.
Fatevi un piacere e gustatevi almeno il monologo iniziale.
Sguardo nel vuoto (The lookout)(2007) di Scott Frank (*)
Altro film passato inosservato ma che riserva molte sorprese. Innanzitutto Joseph Gordon-Levitt continua sulla strada giusta per diventare un attore di prima classe, e viene affiancato da un grandissimo Jeff Bridges nell'inusuale ruolo di un cieco. Ma le due interpretazioni non basterebbero se la storia non fosse cosi' ben congeniata, fresca e coinvolgente fin dai titoli di testa. Se ad una prima analisi potrebbe sembrare il classico heist movie, a sorpresa si viene catturati dalla profonda indagine sui personaggi, vero motore della trama, che diventa a sua volta un pretesto per andare a fondo nei rapporti umani, raccontati con credibilità e passione. E questa direzione permette al film di scrollarsi ogni tipo di prevedibilità, lasciando lo spettatore in un continuo bivio, che lega ancora di più ai già piacevoli protagonisti. Mentre per alcuni aspetti la regia mi ha ricordato la prima visione di Memento, leggendo i crediti di Scott Frank capisco alcune delle sue influenze, e resto piacevolmente impressionato, sperando che il coraggio dimostrato con un film così poco hollywoodiano possa essere premiato.
Alcuni film avranno solamente il titolo, su altri spenderò qualche parola in più, ma senza nessuno criterio, come viene. Soluzioni più lineari non ne vedo, vista la mole di titoli da affrontare, per cui partiamo...
[Nota: (*) l'asterisco indica i consigliati]
Into the wild (2007) di Sean Penn (*)
Grandiosa elegia della vita selvaggia. Uno sprono al (dimenticato?) piacere della scoperta, in senso non solo geografico. Pur essendo molto fedele nei confronti del materiale originale (il libro), a volte sfiora l'agiografia, ma riesce senza problemi a convincere fino alla fine.
Intacto (2001) di Juan Carlos Fresnadillo
Una complicata ed interessante trama non basta a reggere tutto il film, che cede notevolmente una volta capito l'arguto twist narrativo. Cio' non toglie che alcune sequenze, come la corsa bendata fra gli alberi, sono di grande classe.
Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì (*)
Lucidissimo affresco generazionale. Non ci si puo' che riconoscere nella drammatica satira sociale di Virzì, retta da grandi interpretazioni (con una incredibile Ferilli nell'interpretazione della vita) e tanta sostanza. I personaggi bucano lo schermo nella loro singolare identità e commuovono senza usare i facili trucchi tanto abusati nelle produzioni italiche (sigh!). E persino la scena più goliardica colpisce per il perfetto uso della macchia da presa: carrellate, campo e controcampo al servizio del dialogo, non sono cosa da tutti i giorni. E non ridete!
Isolation (2005) di Billy O'Brien
Horror rurale con mucche? Ci credevo, ma dopo un inizio con la giusta tensione si svacca (!) nella parte finale, con scene che sembrano prese pari pari da Alien. E non e' un bene credo.
Dead birds (2004) di Alex Turner
Altro horror/thriller. Questa volta ambientato durante la guerra di secessione americana, ladri fuggitivi, casa dei fantasmi, bla bla bla. Noto con piacere che la scrittura a distanza mi aiuta a inquadrare meglio alcune cose: se non ricordo niente di particolare vuol dire proprio quello, ma per una serata agile fece il suo dovere.
Americani (Glengarry Glen Ross)(2004) di James Foley (*)
Che filmone ragazzi. Se prendi un pezzo teatrale di David Mamet e ci aggiungi un cast a dir poco stellare (Al Pacino, Jack Lemmon, Ed Harris, Alec Baldwin, Kevin Spacey), vedrai che, anche se ti chiami James Foley e qualche anno prima hai diretto una porcheria con Madonna, non sbaglierai.
Pacino nei panni di Ricky Roma si dimostra ancora un mostro di bravura, ma non e' da meno nessuno degli altri, che con un set di 3 stanze 3 fa vedere cosa possa fare una sceneggiatura serratissima, fatta di dialoghi realistici ma che non perdono mai di vista la Storia. Il numero di fuck pronunciati (138) è assolutamente notevole.
Da recuperare assolutamente, anche perchè in Italia è passato inosservato, forse reperibile solo in cassetta o via mulo.
Fatevi un piacere e gustatevi almeno il monologo iniziale.
Sguardo nel vuoto (The lookout)(2007) di Scott Frank (*)
Altro film passato inosservato ma che riserva molte sorprese. Innanzitutto Joseph Gordon-Levitt continua sulla strada giusta per diventare un attore di prima classe, e viene affiancato da un grandissimo Jeff Bridges nell'inusuale ruolo di un cieco. Ma le due interpretazioni non basterebbero se la storia non fosse cosi' ben congeniata, fresca e coinvolgente fin dai titoli di testa. Se ad una prima analisi potrebbe sembrare il classico heist movie, a sorpresa si viene catturati dalla profonda indagine sui personaggi, vero motore della trama, che diventa a sua volta un pretesto per andare a fondo nei rapporti umani, raccontati con credibilità e passione. E questa direzione permette al film di scrollarsi ogni tipo di prevedibilità, lasciando lo spettatore in un continuo bivio, che lega ancora di più ai già piacevoli protagonisti. Mentre per alcuni aspetti la regia mi ha ricordato la prima visione di Memento, leggendo i crediti di Scott Frank capisco alcune delle sue influenze, e resto piacevolmente impressionato, sperando che il coraggio dimostrato con un film così poco hollywoodiano possa essere premiato.
martedì 29 luglio 2008
Hollywood, Vermont (2000) di David Mamet
David Mamet torna alla regia con questa piccola perla. Una commedia frizzante, leggera ma mai banale che racconta le vicissitudini di una troupe cinematografica che si stabilisce in un piccolo paesino del Vermont per terminare di girare il loro film, dopo alcuni problemi avuti nella location precedente.
Prevedibilmente le difficoltà si trasferiscono con loro, alimentate da star capricciose, fondi sempre più a secco, sceneggiatori col blocco dello scrittore, senza dimenticare le dinamiche innestate nella tranquilla vita paesana, che aumentano esponenzialmente l'entropia già enorme del progetto. Si sprecano riferimenti e frecciate a Hollywood e le sue schizofrenie, ma tutte queste attenzioni non sono che segno di un amore smisurato per la settima arte, e aumentano ancora di più il fascino dell'interessante e colorato carrozzone che è il mondo del cinema.
Un gigantesco Alec Baldwin nei panni del protagonista del film nel film, alcolizzato e con una predilezione per le minorenni, diverte con un interpretazione sopra le righe ma credibilissima, che non manca di suggerire come la gestazione di una pellicola non sia poi molto differente. William H. Macy dà vita ad un regista completamente fuori controllo, incapace di pensare ad altro che tenere assieme le assurde personalità che popolano il set. Il suo ultimo pensiero è la qualità del prodotto, basta che si esca con qualcosa (pure il titolo è sacrificabile), tanto il pubblico premierà non il valore ma i nomi coinvolti. Ogni mezzo è buono pur di sfornare il prodotto, e si può passare sopra la legge e la morale senza esitazione. Provate per un secondo ad inquadrare con questa formula tanti blockbuster che ci vengono proposti a catena, e poi fatemi sapere... Non è forse questo il mestiere più bello del mondo?
PS: Un plauso al titolo italiano, che come al solito si allontana dall'originale, ma per una volta riesce ad essere ispirato e attinente, e forse pure più azzeccato!
Prevedibilmente le difficoltà si trasferiscono con loro, alimentate da star capricciose, fondi sempre più a secco, sceneggiatori col blocco dello scrittore, senza dimenticare le dinamiche innestate nella tranquilla vita paesana, che aumentano esponenzialmente l'entropia già enorme del progetto. Si sprecano riferimenti e frecciate a Hollywood e le sue schizofrenie, ma tutte queste attenzioni non sono che segno di un amore smisurato per la settima arte, e aumentano ancora di più il fascino dell'interessante e colorato carrozzone che è il mondo del cinema.
Un gigantesco Alec Baldwin nei panni del protagonista del film nel film, alcolizzato e con una predilezione per le minorenni, diverte con un interpretazione sopra le righe ma credibilissima, che non manca di suggerire come la gestazione di una pellicola non sia poi molto differente. William H. Macy dà vita ad un regista completamente fuori controllo, incapace di pensare ad altro che tenere assieme le assurde personalità che popolano il set. Il suo ultimo pensiero è la qualità del prodotto, basta che si esca con qualcosa (pure il titolo è sacrificabile), tanto il pubblico premierà non il valore ma i nomi coinvolti. Ogni mezzo è buono pur di sfornare il prodotto, e si può passare sopra la legge e la morale senza esitazione. Provate per un secondo ad inquadrare con questa formula tanti blockbuster che ci vengono proposti a catena, e poi fatemi sapere... Non è forse questo il mestiere più bello del mondo?
PS: Un plauso al titolo italiano, che come al solito si allontana dall'originale, ma per una volta riesce ad essere ispirato e attinente, e forse pure più azzeccato!
giovedì 17 luglio 2008
CineHaiku Vol. 2
L'incredibile Hulk (2008) di Louis Leterrier
Omone verde
pantalone viola. Norton ci prova
Ma Ferrigno su tutti.
Wanted (2008) di Timur Bekmambetov
Fight Club ispira
Coreografiche esplosioni motorizzate
Un headshot al tavolo 2.
The Kovak Box (2006) di Daniel Monzón
Idea geniale
Inciampa con grazia
Spento finale.
CineHaiku Vol. 1
Impegni, impegni ed ancora impegni mi tengono lontano dal blog, però il piacere di gustarmi qualche film non è mancato. Dato che il numero comincia ad essere troppo alto per permettermi di tornare in pari, do il via alla prima edizione della "Maratona CineHaiku", ovvero come cavarsela in fretta con stile. La scappatoia sarà di creare dei brevi haiku di commento ai film visti recentemente, così almeno il mio bisogno di completezza non avrà da ridire.
Fido (2006) di Andrew Currie
Zombie amico fedele
Prezioso collare del conformismo
Lavori alla Zomcom?
Machine Girl (2008) di Noboru Iguchi
Tette a trivella
Ghigliottina volante nella foresta
Era meglio Beatrix Kiddo
Right at your door (2006) di Chris Gorak
Una bomba su LA?
Quarantena. Che tensione, finchè dura
Sarà mica Bin Laden
I padroni della notte (2007) di James Gray
Due fratelli
Scontro epico fra titani
Il grigio esiste?
E venne il giorno (2008) di M. Night Shyamalan
Erba assassina
Cosa ti sei fumato Shyamalan?
Eri quello di Unbreakable.
Fido (2006) di Andrew Currie
Zombie amico fedele
Prezioso collare del conformismo
Lavori alla Zomcom?
Machine Girl (2008) di Noboru Iguchi
Tette a trivella
Ghigliottina volante nella foresta
Era meglio Beatrix Kiddo
Right at your door (2006) di Chris Gorak
Una bomba su LA?
Quarantena. Che tensione, finchè dura
Sarà mica Bin Laden
I padroni della notte (2007) di James Gray
Due fratelli
Scontro epico fra titani
Il grigio esiste?
E venne il giorno (2008) di M. Night Shyamalan
Erba assassina
Cosa ti sei fumato Shyamalan?
Eri quello di Unbreakable.
lunedì 16 giugno 2008
Lucía y el sexo (2001) di Julio Medem
Una storia dalle mille sfaccettature come questa non poteva aver miglior narrazione di quella scelta dal talentuoso Julio Medem. Lo scrittore Lorenzo, le due donne della sua vita e il libro che sta scrivendo ispirato dagli avvenimenti che lo coinvolgono sono i motori di una labirintica trama che continuamente si fa e si disfa, si morde la coda, sembra tornare indietro ma procede, senza mai perdere lucidità e anzi dimostrando una coscienza del mezzo cinematografico ammirabile.
Il protagonista (come il regista) è creatore ma anche attore di una storia mossa dalla passione, amara ma fiabesca, in cui ogni immagine assume significato man mano che procede l'esposizione. Il sole, la luna, l'acqua, la buca nel terreno sono parte integrante di una personale mitologia del racconto, che gli permette di trascendere gli eventi e raccontare con semplicità sentimenti complessissimi, assoluti, toccando con delicatezza temi come il desiderio, l'immaginazione e l'amore.
Strepitosi tutti i protagonisti, che danno corpo e anima ad una visione artistica con pochi eguali, ricordando per l'abilità nella gestione della trama alcune opere del maestro Lynch. Le riprese subacquee restano indimenticabili per la sontuosità e l'abile uso delle luci, mentre l'uso del fuori campo in una scena chiave è di assoluta classe.
"Il bello di questo racconto è che a metà cadi in una buca. E torni all'inizio."
Il protagonista (come il regista) è creatore ma anche attore di una storia mossa dalla passione, amara ma fiabesca, in cui ogni immagine assume significato man mano che procede l'esposizione. Il sole, la luna, l'acqua, la buca nel terreno sono parte integrante di una personale mitologia del racconto, che gli permette di trascendere gli eventi e raccontare con semplicità sentimenti complessissimi, assoluti, toccando con delicatezza temi come il desiderio, l'immaginazione e l'amore.
Strepitosi tutti i protagonisti, che danno corpo e anima ad una visione artistica con pochi eguali, ricordando per l'abilità nella gestione della trama alcune opere del maestro Lynch. Le riprese subacquee restano indimenticabili per la sontuosità e l'abile uso delle luci, mentre l'uso del fuori campo in una scena chiave è di assoluta classe.
"Il bello di questo racconto è che a metà cadi in una buca. E torni all'inizio."
mercoledì 4 giugno 2008
Un uomo qualunque (He was a quiet man) (2007) di Frank A. Cappello
Farà anche ridere come nome, ma Frank A. Cappello è diventato un piccolo eroe per me. Scrive e dirige un film assolutamente indipendente, derivativo (come non ricordare Fight Club o Brazil) ma geniale, pieno di stile e idee. Non contento ne scrive le canzoni, con almeno un paio di song azzeccatissimi, e per finire sbirciando la board di imdb me lo trovo pure ad intervenire con interessanti commenti e nessuna autopromozione. Non si può che stimare una persona così, altro che!
Tornando alla pellicola, è la storia di un irriconoscibile Christian Slater nei panni di Bob Maconel, un impiegato tartassato da tutti che, nel giorno in cui decide di farla finita portando con se gli insopportabili colleghi, viene anticipato proprio da uno di questi che sceglie lo stesso giorno per impazzire, ma lo ferma freddandolo con la pistola portata per la strage, e diventa quindi un eroe. La sua vita cambia radicalmente, ma non tutto è come sembra...
Lascio da parte la trama per non rovinare la visione, ma non posso non parlare della perfetta atmosfera in bilico tra paranoia e quotidianità che inquieta per tutta la durata, lasciando un sottile fastidio di fondo anche nelle parti in cui sembra che le cose vadano bene. Non ci si scrolla mai di dosso la sensazione di essere l'impiegato Bob, sempre inappropriato e deriso, grazie alla grande interpretazione di Slater che, per la prima volta in un ruolo fuori dalla sua facciata hollywoodiana, con lo sguardo basso e gli appena visibili tic riesce perfettamente a creare uno sgradevole ma credibile uomo qualunque. La dinamica regia con le sue trovate mette questa performance ancora più in risalto: i repentini cambi d'inquadratura, i fuori fuoco quasi involontari, le deformazioni e le parti in prospettiva forzata creano un universo alieno appena riconoscibile, mentre i pochi (ed economici, ma perdonabili) effetti speciali ricordano che non servono budget assurdi per rendere credibile una scena.
L'incipit con la voce fuori campo e le sgranate immagini in bianco e nero resta comunque indimenticabile, soprattutto per i risvolti che assumerà dopo il tortuoso percorso del protagonista, alla fine del film. (vedi video)
Tornando alla pellicola, è la storia di un irriconoscibile Christian Slater nei panni di Bob Maconel, un impiegato tartassato da tutti che, nel giorno in cui decide di farla finita portando con se gli insopportabili colleghi, viene anticipato proprio da uno di questi che sceglie lo stesso giorno per impazzire, ma lo ferma freddandolo con la pistola portata per la strage, e diventa quindi un eroe. La sua vita cambia radicalmente, ma non tutto è come sembra...
Lascio da parte la trama per non rovinare la visione, ma non posso non parlare della perfetta atmosfera in bilico tra paranoia e quotidianità che inquieta per tutta la durata, lasciando un sottile fastidio di fondo anche nelle parti in cui sembra che le cose vadano bene. Non ci si scrolla mai di dosso la sensazione di essere l'impiegato Bob, sempre inappropriato e deriso, grazie alla grande interpretazione di Slater che, per la prima volta in un ruolo fuori dalla sua facciata hollywoodiana, con lo sguardo basso e gli appena visibili tic riesce perfettamente a creare uno sgradevole ma credibile uomo qualunque. La dinamica regia con le sue trovate mette questa performance ancora più in risalto: i repentini cambi d'inquadratura, i fuori fuoco quasi involontari, le deformazioni e le parti in prospettiva forzata creano un universo alieno appena riconoscibile, mentre i pochi (ed economici, ma perdonabili) effetti speciali ricordano che non servono budget assurdi per rendere credibile una scena.
L'incipit con la voce fuori campo e le sgranate immagini in bianco e nero resta comunque indimenticabile, soprattutto per i risvolti che assumerà dopo il tortuoso percorso del protagonista, alla fine del film. (vedi video)
martedì 3 giugno 2008
Persepolis (2007) di Vincent Paronnaud e Marjane Satrapi
A volte succede che un film riesca a raccontare la Storia, il passato e il presente, in modo così naturale e semplice da far dimenticare libri scolastici o noiose tirate da pseudo opinionisti. E se quelle volte riesce anche a divertire, commuovere e rapire, non si può che affermare che stiamo parlando di vera arte. Come è arte ogni minuto di questo piccola ma splendida perla, basata su una graphic novel molto influente, che riesce a non far sentire mai la pesante eredità (d'altronde l'autrice qui sceneggia con grazia la propria biografia).
La storia della piccola Marjane interpreta tutta la storia recente dell'Iran, dallo scià ai tempi moderni, senza mai avere la pretesa di voler giudicare processi storici mastodontici nella loro cieca ottusità, ma cercando solo di capire come siamo giunti a certe situazioni, e da dove nasca il distacco sempre più evidente fra l'occidentale e il medio oriente, riuscendo con leggerezza nella più difficile delle prove, quella di farci condividere le difficoltà di popolazioni che sembrano esistere solo perchè mostrate nei telegiornali, ma che ogni giorno soffrono e lottano contro realtà impensabili per noi cittadini Europei. In quei 90 minuti diventiamo iraniani anche noi, viviamo le stesse persecuzioni e ci indigniamo, piangiamo e ridiamo, mentre le bombe cadono, simili a quelle che cercano di zittire voci libere come quella della Satrapi, colpevoli solamente di cercare la verità.
Lo script così personale e forte diventa sublime grazie alla perfetta transizione dal medium cartaceo, e infatti c'e' solo stupore assistendo alle bellissime scene create direttamente dalle tavole originali. Gli sguardi degli stilizzati personaggi valgono mille parole, mentre alcune inquadrature sono il perfetto esempio di narrazione visuale, riuscendo a raccontare anche solo con pochi tratti profonde verità. Gli indimenticabili occhi curiosi di questa bambina sono forse una delle cose più sincere del cinema recente, secondi solo a quelli del critico bambino in Ratatouille.
La storia della piccola Marjane interpreta tutta la storia recente dell'Iran, dallo scià ai tempi moderni, senza mai avere la pretesa di voler giudicare processi storici mastodontici nella loro cieca ottusità, ma cercando solo di capire come siamo giunti a certe situazioni, e da dove nasca il distacco sempre più evidente fra l'occidentale e il medio oriente, riuscendo con leggerezza nella più difficile delle prove, quella di farci condividere le difficoltà di popolazioni che sembrano esistere solo perchè mostrate nei telegiornali, ma che ogni giorno soffrono e lottano contro realtà impensabili per noi cittadini Europei. In quei 90 minuti diventiamo iraniani anche noi, viviamo le stesse persecuzioni e ci indigniamo, piangiamo e ridiamo, mentre le bombe cadono, simili a quelle che cercano di zittire voci libere come quella della Satrapi, colpevoli solamente di cercare la verità.
Lo script così personale e forte diventa sublime grazie alla perfetta transizione dal medium cartaceo, e infatti c'e' solo stupore assistendo alle bellissime scene create direttamente dalle tavole originali. Gli sguardi degli stilizzati personaggi valgono mille parole, mentre alcune inquadrature sono il perfetto esempio di narrazione visuale, riuscendo a raccontare anche solo con pochi tratti profonde verità. Gli indimenticabili occhi curiosi di questa bambina sono forse una delle cose più sincere del cinema recente, secondi solo a quelli del critico bambino in Ratatouille.
venerdì 30 maggio 2008
[REC] (2007) di Jaume Balagueró
Sono anni che faccio propaganda a Balaguerò e finalmente qualcuno comincia ad accorgersi che questo regista ha delle qualità... L'esordio con Nameless mi aveva convinto, e Darkness pur con i suoi cliché non era da meno, ma questa pellicola racchiude tutto l'amore per il genere e un sano mestiere, messi a frutto nel rispetto degli insegnamenti di mille maestri che hanno scritto la storia dell'horror.
La storia degli inquilini di un condominio messo in quarantena dalle autorità senza nessuna spiegazione apparente viene raccontata con credibilità dagli operatori televisivi giunti per primi sul posto prima dell'isolamento. L'integrazione della presa diretta con telecamera a spalla convince nuovamente (dopo Diary of the Dead e meglio di Cloverfield) grazie all'adeguato espediente del dovere di cronaca, e dopo i primi minuti un po' forzati diventa talmente integrata nella fitta sequenza di incredibili eventi da sembrare l'unico modo per raccontare questa storia. Ed è una storia di fantasmi adattata ai tempi moderni, con influenze romeriane da Dawn of the dead e alcuni tocchi dall'oriente. Il tutto mischiato alla perfezione, con personalità e stile, ogni inquadratura ha il giusto aspetto di casualità ma si vede quanto ricercate sono alcune scelte, formidabili nel costruire l'impalcatura narrativa. La tensione non scende mai e ci sono almeno 3 scene da infarto puro (balzo sul divano garantito!). La sensazione di essere chiusi pure noi in quegli angusti corridoi non se ne va nemmeno dopo la drammatica fine. E come usa i bambini per certe scene lui...
PS: Purtroppo la versione italiana ospita uno dei peggiori doppiaggi degli ultimi tempi, soprattutto nei primi dieci minuti è assurdo per tono e mancanza di sincronia. Fortunatamente quando comincia l'azione dura non si nota più di tanto, ma fatevi il piacere di guardarvelo in spagnolo, che tanto si capisce tutto lo stesso.
La storia degli inquilini di un condominio messo in quarantena dalle autorità senza nessuna spiegazione apparente viene raccontata con credibilità dagli operatori televisivi giunti per primi sul posto prima dell'isolamento. L'integrazione della presa diretta con telecamera a spalla convince nuovamente (dopo Diary of the Dead e meglio di Cloverfield) grazie all'adeguato espediente del dovere di cronaca, e dopo i primi minuti un po' forzati diventa talmente integrata nella fitta sequenza di incredibili eventi da sembrare l'unico modo per raccontare questa storia. Ed è una storia di fantasmi adattata ai tempi moderni, con influenze romeriane da Dawn of the dead e alcuni tocchi dall'oriente. Il tutto mischiato alla perfezione, con personalità e stile, ogni inquadratura ha il giusto aspetto di casualità ma si vede quanto ricercate sono alcune scelte, formidabili nel costruire l'impalcatura narrativa. La tensione non scende mai e ci sono almeno 3 scene da infarto puro (balzo sul divano garantito!). La sensazione di essere chiusi pure noi in quegli angusti corridoi non se ne va nemmeno dopo la drammatica fine. E come usa i bambini per certe scene lui...
PS: Purtroppo la versione italiana ospita uno dei peggiori doppiaggi degli ultimi tempi, soprattutto nei primi dieci minuti è assurdo per tono e mancanza di sincronia. Fortunatamente quando comincia l'azione dura non si nota più di tanto, ma fatevi il piacere di guardarvelo in spagnolo, che tanto si capisce tutto lo stesso.
martedì 27 maggio 2008
Bignami: Iron Man, Paranoid Park, Halloween
Dato che mi sono preso un po' indietro e difficilmente in questo periodo troverò il tempo di recuperare, ho deciso di fare un post bouillabaisse con i film incriminati. Partiamo subito.
Iron man (2008) di Jon Favreau
Cosa si poteva chiedere di più?
C'è l'armatura, perfetta nella sua possenza, c'è Robert Downey Jr. in uno dei suoi migliori ruoli, c'è la Paltrow finalmente a suo agio nei brillanti panni della segretaria Pepper Pots, c'è un irriconoscibile Jeff Bridges perfetto cattivo, e alla fine dopo i titoli persino l'incredibile siparietto che lascia presagire altro...
I film basati sui supereroi spesso nascondono dietro l'allettante licenza l'opzione pacco, in quanto basta poco per passare dalla meraviglia di fronte ai beniamini portati sullo schermo al b-movie senza scampo. Per buttare via un soggetto interessante come Iron Man sarebbe bastato un attimo, mentre Favreau intelligentemente sceglie di lasciare campo aperto alla grande interpretazione del protagonista, che dosa perfettamente lo humor creando un personaggio cazzaro ma piacevole, sempre sopra le righe ma mai macchietta, tanto che ora sembra impossibile immaginare un Tony Stark diverso. E se mi arrischio a dire che siamo a livello del miglior Sam Raimi, non tiratemi le pietre...
Paranoid Park (2007) di Gus Van Sant
La nuova opera del grande regista indipendente americano ipnotizza fin dall'inizio. Sceglie di raccontare una storia comune come solo lui sa fare, modellando la luce, i colori con una maestria forse unica nel panorama attuale, e trasformando un fatto centrale che potrebbe essere raccontato con poche frasi in uno straziante racconto di crescita adolescenziale, senza inutili moralismi ma implacabile specchio di una quotidianità che riesce a spaventare per la sua attinenza e spietata precisione. Non succede quasi nulla, ma il dramma è di assoluta potenza. E la scena che spezza in due il film, quella della presa di coscienza del giovane protagonista sotto la doccia, lascia senza parole per l'incredibile uso di luce e ombre nel creare una vera e propria odissea nelle profondità dell'animo umano. Possono essere accusati di essere solo virtuosismi, ma quanti riescono a smuovere come ancora sa fare Van Sant?
Il resto sono inutili critiche...
Halloween (2007) di Rob Zombie
Sembrava poter essere il film con cui Rob Zombie dava il colpo finale, ed invece dovremmo ancora aspettare un po'...
Un inizio magistrale che ci racconta l'infanzia di Michael Myers viene stemperato dalla seconda metà in cui, forse per timore nei confronti del materiale originale, il regista fa solamente il suo dovere, senza quel tocco che abbiamo imparato ad amare. Siamo sempre sopra la media dei tanti brutti film horror simili, ma le sue capacità sono tutt'altra cosa e dispiace vederle sprecate.
Sheri Moon Zombie nella sua bellezza all american mista schizofrenia resta indiscutibilmente una presenza magnetica, che da sola porta avanti la storia, e non dimentichiamo la piccola parte di Danny Trejo, che forse per la prima volta viene caratterizzato con dei sentimenti (!).
Promosso solo perché ti conosciamo, Rob!
Iron man (2008) di Jon Favreau
Cosa si poteva chiedere di più?
C'è l'armatura, perfetta nella sua possenza, c'è Robert Downey Jr. in uno dei suoi migliori ruoli, c'è la Paltrow finalmente a suo agio nei brillanti panni della segretaria Pepper Pots, c'è un irriconoscibile Jeff Bridges perfetto cattivo, e alla fine dopo i titoli persino l'incredibile siparietto che lascia presagire altro...
I film basati sui supereroi spesso nascondono dietro l'allettante licenza l'opzione pacco, in quanto basta poco per passare dalla meraviglia di fronte ai beniamini portati sullo schermo al b-movie senza scampo. Per buttare via un soggetto interessante come Iron Man sarebbe bastato un attimo, mentre Favreau intelligentemente sceglie di lasciare campo aperto alla grande interpretazione del protagonista, che dosa perfettamente lo humor creando un personaggio cazzaro ma piacevole, sempre sopra le righe ma mai macchietta, tanto che ora sembra impossibile immaginare un Tony Stark diverso. E se mi arrischio a dire che siamo a livello del miglior Sam Raimi, non tiratemi le pietre...
Paranoid Park (2007) di Gus Van Sant
La nuova opera del grande regista indipendente americano ipnotizza fin dall'inizio. Sceglie di raccontare una storia comune come solo lui sa fare, modellando la luce, i colori con una maestria forse unica nel panorama attuale, e trasformando un fatto centrale che potrebbe essere raccontato con poche frasi in uno straziante racconto di crescita adolescenziale, senza inutili moralismi ma implacabile specchio di una quotidianità che riesce a spaventare per la sua attinenza e spietata precisione. Non succede quasi nulla, ma il dramma è di assoluta potenza. E la scena che spezza in due il film, quella della presa di coscienza del giovane protagonista sotto la doccia, lascia senza parole per l'incredibile uso di luce e ombre nel creare una vera e propria odissea nelle profondità dell'animo umano. Possono essere accusati di essere solo virtuosismi, ma quanti riescono a smuovere come ancora sa fare Van Sant?
Il resto sono inutili critiche...
Halloween (2007) di Rob Zombie
Sembrava poter essere il film con cui Rob Zombie dava il colpo finale, ed invece dovremmo ancora aspettare un po'...
Un inizio magistrale che ci racconta l'infanzia di Michael Myers viene stemperato dalla seconda metà in cui, forse per timore nei confronti del materiale originale, il regista fa solamente il suo dovere, senza quel tocco che abbiamo imparato ad amare. Siamo sempre sopra la media dei tanti brutti film horror simili, ma le sue capacità sono tutt'altra cosa e dispiace vederle sprecate.
Sheri Moon Zombie nella sua bellezza all american mista schizofrenia resta indiscutibilmente una presenza magnetica, che da sola porta avanti la storia, e non dimentichiamo la piccola parte di Danny Trejo, che forse per la prima volta viene caratterizzato con dei sentimenti (!).
Promosso solo perché ti conosciamo, Rob!
venerdì 16 maggio 2008
Diary of the Dead (2007) di George A. Romero
Il vecchio George dà una rinfrescata alla franchigia con questo nuovo capitolo sugli zombie. E parte da una tecnica per lui nuova, la presa diretta alla Blair Witch, e anche se d'ora in avanti la telecamera a spalla sarà meglio evitarla (un po' inflazionata, vedi Cloverfield, Rec e compagnia bella), in questo film fa perfettamente il suo dovere. E infatti l'artificio della ripresa continua, che a volte puo' sembrare pretestuoso (come nel già citato film del mostro grosso... quello rischia la pelle e riprende a tutto spiano!), qui acquista tutt'altro valore grazie all'intelligente script, che pone come protagonisti una troupe cinematografica di studenti che sta girando un horror quando scoppia l'epidemia dei morti viventi. Gli stessi zombie, nella loro inesorabile lentezza, si prestano bene alle riprese, che in situazioni più drammatiche sembrerebbero fini a se stesse.
Gli attori non brillano, complici anche le studiate riprese fai da te, ma il continuo gioco di ammiccamenti, riferimenti e rimandi agli altri capitoli porta avanti senza problemi la pellicola. Ciò che colpisce di più è la nemmeno tanto velata critica alla società media dipendente, dal Grande Fratello ai telegiornali sensazionalistici, senza risparmiare la youtube generation; la sensazione che nulla sia reale se non ripreso in qualche modo dà alle drammatiche scene un gusto distante dalla fiction, e pone lo spettatore nello scomodo posto di giudice di eventi forse generati dal suo stesso voyerismo. Gli stessi protagonisti altro non sono che attori di un film all'interno del film, in un continuo scambio tra osservatori ed osservati che sbilancia e confonde.
Non ci troviamo di fronte al solito horror quindi, anche se non mancano i momenti gore, con almeno un paio di uccisioni notevoli, coadiuvati da sequenze d'azione fatte con mestiere, ma la cosa più agghiacciante resta la scena finale della tortura agli zombie, quasi un'ultima, impietosa analisi sociale: la desensibilizzazione nei confronti della morte e' forse il primo passo verso qualcosa di peggiore?
Gli attori non brillano, complici anche le studiate riprese fai da te, ma il continuo gioco di ammiccamenti, riferimenti e rimandi agli altri capitoli porta avanti senza problemi la pellicola. Ciò che colpisce di più è la nemmeno tanto velata critica alla società media dipendente, dal Grande Fratello ai telegiornali sensazionalistici, senza risparmiare la youtube generation; la sensazione che nulla sia reale se non ripreso in qualche modo dà alle drammatiche scene un gusto distante dalla fiction, e pone lo spettatore nello scomodo posto di giudice di eventi forse generati dal suo stesso voyerismo. Gli stessi protagonisti altro non sono che attori di un film all'interno del film, in un continuo scambio tra osservatori ed osservati che sbilancia e confonde.
Non ci troviamo di fronte al solito horror quindi, anche se non mancano i momenti gore, con almeno un paio di uccisioni notevoli, coadiuvati da sequenze d'azione fatte con mestiere, ma la cosa più agghiacciante resta la scena finale della tortura agli zombie, quasi un'ultima, impietosa analisi sociale: la desensibilizzazione nei confronti della morte e' forse il primo passo verso qualcosa di peggiore?
Gone Baby Gone (2007) di Ben Affleck
Si, avete letto bene il nome del regista, non e' un errore. Il mascellone più famoso di Hollywood esce allo scoperto e fa capire finalmente che non ha mai avuto nulla a che fare con il mestiere di attore, ed è stato finora in incognito per prepararsi alla sua carriera di regista. Ed è un regista con le palle. Al film d'esordio tira fuori una performance senza se e senza ma, un noir dei giorni nostri che porta i plumbei colori di un'insolita Boston al servizio di una storia che nasconde nella gretta quotidianità la sua carismatica forza narrativa.
Già dalla scelta dei protagonisti si nota la spinta nell'innovare il genere, infatti l'insolita coppia di fidanzati detective capitanata dall'altro Affleck convince senza appello, con almeno un paio di scene da manuale: lo scontro verbale che finisce a pistole spianate nel pub è convincente come pochi altri, mentre il suo discorso al trafficante nero è da infarto per la freddezza glaciale.
Non bastasse, a supporto ci sono fior fiore di professionisti che recitano alcuni dei loro migliori ruoli: Morgan Freeman è monumentale come capo della polizia, ed Ed Harris nei panni dell'ispettore dal passato oscuro è troppo bravo per non volergli bene nonostante il personaggio. Ma sopra tutti la quasi irriconoscibile Amy Ryan che, nei panni della madre della bambina scomparsa, nelle poche scene in cui appare non sbaglia una virgola, caratterizzando perfettamente una donna allo sbando, odiosissima ma preoccupantemente reale. Nomination all'Oscar meritatissima.
E ci sarebbero mille dettagli da ricordare, dalla crudissima scena della sparatoria nella casa del pedofilo fino allo straordinario cambio di direzione/ritmo a metà film, dall'agghiacciante scambio al lago artificiale fino al dialogo sul tetto, ma voglio solo soffermarmi sull'ultimo fotogramma, quello che mi e' rimasto dentro per giorni: la solitudine, l'amore, il futuro, la purezza, mescolate in una breve carrellata laterale, e poi i titoli di coda. Se non è cinema allo stato puro questo...
Già dalla scelta dei protagonisti si nota la spinta nell'innovare il genere, infatti l'insolita coppia di fidanzati detective capitanata dall'altro Affleck convince senza appello, con almeno un paio di scene da manuale: lo scontro verbale che finisce a pistole spianate nel pub è convincente come pochi altri, mentre il suo discorso al trafficante nero è da infarto per la freddezza glaciale.
Non bastasse, a supporto ci sono fior fiore di professionisti che recitano alcuni dei loro migliori ruoli: Morgan Freeman è monumentale come capo della polizia, ed Ed Harris nei panni dell'ispettore dal passato oscuro è troppo bravo per non volergli bene nonostante il personaggio. Ma sopra tutti la quasi irriconoscibile Amy Ryan che, nei panni della madre della bambina scomparsa, nelle poche scene in cui appare non sbaglia una virgola, caratterizzando perfettamente una donna allo sbando, odiosissima ma preoccupantemente reale. Nomination all'Oscar meritatissima.
E ci sarebbero mille dettagli da ricordare, dalla crudissima scena della sparatoria nella casa del pedofilo fino allo straordinario cambio di direzione/ritmo a metà film, dall'agghiacciante scambio al lago artificiale fino al dialogo sul tetto, ma voglio solo soffermarmi sull'ultimo fotogramma, quello che mi e' rimasto dentro per giorni: la solitudine, l'amore, il futuro, la purezza, mescolate in una breve carrellata laterale, e poi i titoli di coda. Se non è cinema allo stato puro questo...
mercoledì 14 maggio 2008
Choses secrètes (2002) di Jean-Claude Brisseau
Una contorta e cupa favola moderna. Le due protagoniste passano dal lavoro in un night club alla scalata sociale, sole contro tutti, usando come armi la seduzione e l'imbroglio.
Approdate in una grande azienda come segretarie, si fanno strada a modo loro, e ci riescono. Determinate a sfruttare i sentimenti e le passioni altrui, non si fermano di fronte a nulla. Vedono le persone, sopratutto gli uomini, come pezzi di una scacchiera, manipolabili a proprio piacimento e perciò sacrificabili. Ma anche per loro arriva la resa dei conti, quando diventano vittime del proprio gioco...
Una sontuosa cinematografia tiene in piedi questa pellicola che a tratti convince (vedi la prima parte con l'iniziazione della più giovane, convincente racconto di formazione), e riesce ad inserire con gusto prolungate scene di sesso senza troppe censure, ma che perde un po' di forza nel prosieguo, tropo carico di metafore che ne appesantiscono la struttura.
Ma forse la cosa meno convincente è il protagonista maschile che, invece di catturare la scena e giustificare il suo ruolo cardine nei tragici eventi, resta nell'ombra delle due splendide attrici, senza dare mai l'impressione di valere ciò che richiederebbe l'intreccio narrativo. Inoltre dei rapporti con alcuni personaggi di secondo piano vengono un po' troppo semplificati, minando la credibilità di alcune scene. Ed è un peccato, perché la rappresentazione del marcio al di sotto della società perbenista è sottilmente inquietante, e il finale, pur ispirandosi un po' troppo a quello di Eyes Wide Shut, risulta molto ben calibrato.
PS: Ora che ci penso, l'accostamento al capolavoro finale di Kubrick mi porta ad ammettere che, anche con tutto i suoi difetti, Tom Cruise resta sempre un attore di assoluto valore, peccato solo per certe scelte artistiche.
Approdate in una grande azienda come segretarie, si fanno strada a modo loro, e ci riescono. Determinate a sfruttare i sentimenti e le passioni altrui, non si fermano di fronte a nulla. Vedono le persone, sopratutto gli uomini, come pezzi di una scacchiera, manipolabili a proprio piacimento e perciò sacrificabili. Ma anche per loro arriva la resa dei conti, quando diventano vittime del proprio gioco...
Una sontuosa cinematografia tiene in piedi questa pellicola che a tratti convince (vedi la prima parte con l'iniziazione della più giovane, convincente racconto di formazione), e riesce ad inserire con gusto prolungate scene di sesso senza troppe censure, ma che perde un po' di forza nel prosieguo, tropo carico di metafore che ne appesantiscono la struttura.
Ma forse la cosa meno convincente è il protagonista maschile che, invece di catturare la scena e giustificare il suo ruolo cardine nei tragici eventi, resta nell'ombra delle due splendide attrici, senza dare mai l'impressione di valere ciò che richiederebbe l'intreccio narrativo. Inoltre dei rapporti con alcuni personaggi di secondo piano vengono un po' troppo semplificati, minando la credibilità di alcune scene. Ed è un peccato, perché la rappresentazione del marcio al di sotto della società perbenista è sottilmente inquietante, e il finale, pur ispirandosi un po' troppo a quello di Eyes Wide Shut, risulta molto ben calibrato.
PS: Ora che ci penso, l'accostamento al capolavoro finale di Kubrick mi porta ad ammettere che, anche con tutto i suoi difetti, Tom Cruise resta sempre un attore di assoluto valore, peccato solo per certe scelte artistiche.
domenica 11 maggio 2008
Teeth (2007) di Mitchell Lichtenstein
Ecco il famoso film della vagina dentata. Si, avete proprio letto bene, il film parla di una ragazza con questo piccolo problema. E riesce miracolosamente a restare serio per tutta la durata, portando in scena alcune delle più ataviche paure maschili con molta sottigliezza, nascondendo i molteplici strati di interpretazione sotto l'ambientazione da periferia bene, in cui l'unica nota stonata (quasi simpsoniana) e' la grigia centrale nucleare che domina la cittadina, e che con i suoi sbuffi di fumo segna il ritmo della narrazione.
Il tono tra l'humor nero e il dramma personale è funzionale, e riesce rendere interessante una storia che sembrava finita già nel racconto dell'exploit principale, riuscendo a costruirci intorno un piccolo mondo credibile (nei limiti) e dettagliato. Personaggi un po' sovra recitati come il fratello sbandato (ma chi non lo sarebbe diventato a vedersi morso un dito dalla vagina della sorella in giovane età?) o il dottore sono perdonabili, grazie alla forte carica personale messa dalla giovane Jess Weixler nel caratterizzare una teenager che cerca nella castità la risposta ai normali dubbi dell'adolescenza ma che nel suo caso risiedono in questioni più profonde, qui simbolizzate inequivocabilmente dalla dentata protagonista.
Menzione finale il discorso sul palco, perfetto nella visione distorta quasi da incubo e scandito dagli inquietanti cori simil-religiosi, ed efficace come poche altre scene nell'esprimere la confusione dell'attrice.
Il tono tra l'humor nero e il dramma personale è funzionale, e riesce rendere interessante una storia che sembrava finita già nel racconto dell'exploit principale, riuscendo a costruirci intorno un piccolo mondo credibile (nei limiti) e dettagliato. Personaggi un po' sovra recitati come il fratello sbandato (ma chi non lo sarebbe diventato a vedersi morso un dito dalla vagina della sorella in giovane età?) o il dottore sono perdonabili, grazie alla forte carica personale messa dalla giovane Jess Weixler nel caratterizzare una teenager che cerca nella castità la risposta ai normali dubbi dell'adolescenza ma che nel suo caso risiedono in questioni più profonde, qui simbolizzate inequivocabilmente dalla dentata protagonista.
Menzione finale il discorso sul palco, perfetto nella visione distorta quasi da incubo e scandito dagli inquietanti cori simil-religiosi, ed efficace come poche altre scene nell'esprimere la confusione dell'attrice.
Death Sentence (2007) di James Wan
Guradatevi bene il poster perchè non c'è altro. Non ho parole per l'insulto che è stato questo film.
Mi dico: Saw ha fatto il suo, innovativo quanto basta e girato decentemente. Guardo il rating imdb e, pensando il genere sia simile, valuto il suo 6.9 come un ottimo voto (nota: alcuni horror veramente notevoli prendono sempre voti bassi in quel covo di mainstreamers, un 5 spesso infatti nasconde grandi opere) e commetto l'errore, il primo, di dargli un minimo credito da giustificare la visione. Comincia il film e via con il secondo, alias "crediamoci!": la prima mezz'ora abbondante è ottima, crea la giusta tensione che mi fa allarmare per ogni dettaglio fuori dalla norma, degli innocui fari nello specchietto retrovisore mi fanno pensare al peggior incidente, sono sull'orlo della poltrona; tutto perfetto quindi, l'atmosfera ideale per un pezzo forte che dovrebbe colpire duro.
Ed invece il caro Wan, pace all'anima sua, mi rovescia addosso una misto tra poliziesco fallito e un gangsta movie dei poveri, con finale featuring Kevin Bacon nei panni di Rambo. E non scherzo, proprio quell'attore là, non Steven Segal nè Van Damme, da perfetto ed innocuo cittadino si trasforma in macchina da guerra, e con armi di ogni tipo porta distruzione/morte ai delinquenti peggio caratterizzati degli ultimi tempi (quasi ti aspetti che i tatuaggi finti scoloriscano). Improbabile in ogni scena, dopo la metà finire la pellicola è stato solo dovere di cronaca, per vedere fino a che punto si può arrivare con un così bell'incipit. E vi assicuro che si arriva parecchio giù.
L'unica nota di merito la segna John Goodman in un'insolita, buffa e cruda caratterizzazione, ma per non sbagliare viene naturalmente inserito in modo talmente pretestuoso da risultare un mezzo McGuffin, non ci azzeccherebbe nulla se non per giustificare un altro paio di scene con armi armi ed armi. La sagra del proiettile, che nemmeno in Matrix ho visto tanti bozzoli.
Da evitare come la peste, quella nera.
Mi dico: Saw ha fatto il suo, innovativo quanto basta e girato decentemente. Guardo il rating imdb e, pensando il genere sia simile, valuto il suo 6.9 come un ottimo voto (nota: alcuni horror veramente notevoli prendono sempre voti bassi in quel covo di mainstreamers, un 5 spesso infatti nasconde grandi opere) e commetto l'errore, il primo, di dargli un minimo credito da giustificare la visione. Comincia il film e via con il secondo, alias "crediamoci!": la prima mezz'ora abbondante è ottima, crea la giusta tensione che mi fa allarmare per ogni dettaglio fuori dalla norma, degli innocui fari nello specchietto retrovisore mi fanno pensare al peggior incidente, sono sull'orlo della poltrona; tutto perfetto quindi, l'atmosfera ideale per un pezzo forte che dovrebbe colpire duro.
Ed invece il caro Wan, pace all'anima sua, mi rovescia addosso una misto tra poliziesco fallito e un gangsta movie dei poveri, con finale featuring Kevin Bacon nei panni di Rambo. E non scherzo, proprio quell'attore là, non Steven Segal nè Van Damme, da perfetto ed innocuo cittadino si trasforma in macchina da guerra, e con armi di ogni tipo porta distruzione/morte ai delinquenti peggio caratterizzati degli ultimi tempi (quasi ti aspetti che i tatuaggi finti scoloriscano). Improbabile in ogni scena, dopo la metà finire la pellicola è stato solo dovere di cronaca, per vedere fino a che punto si può arrivare con un così bell'incipit. E vi assicuro che si arriva parecchio giù.
L'unica nota di merito la segna John Goodman in un'insolita, buffa e cruda caratterizzazione, ma per non sbagliare viene naturalmente inserito in modo talmente pretestuoso da risultare un mezzo McGuffin, non ci azzeccherebbe nulla se non per giustificare un altro paio di scene con armi armi ed armi. La sagra del proiettile, che nemmeno in Matrix ho visto tanti bozzoli.
Da evitare come la peste, quella nera.
venerdì 2 maggio 2008
Dorm Daze (2003) di David Hillenbrand e Scott Hillenbrand
A volte è bello anche pescare dei titoli a caso, magari solo perchè una singola recensione ti fa l'impressione giusta. E così mi sono ritrovato a vedere questo Dorm Daze, e ha meritato anche una recensione!
Poteva essere la solita boiata sulla scia di American Pie, una noia mortale da un'ora e mezza, invece i registi hanno avuto un'idea geniale: rispolverare il mai dimenticato stile teatrale della farsa e camuffarlo da teen movie. E parlo di ispirazione alta, shakespeariana direi, niente di meno, dato che ci sono gli stessi strumenti e le stesse dinamiche, che a loro volta non tradiscono le classiche radici greco-romane, a partire dal continuo ausilio dello scambio di identità come motore narrativo.
Il risultato è tanto anomalo quanto vincente, con una pellicola che non ho dubbi lascerà perplesso l'utente medio del genere (non che tale campione statistico meriti poi molto), ma che può dare soddisfazioni una volta abbandonati i pregiudizi. Non si può che ammirare il ritmo indiavolato, gli incastri assurdi ma precisi, i personaggi sopra le righe e i colpi di scena continui che dal primo minuto animano una storia senza capo nè coda, ma assolutamente godibile. E' tutto così millimetrico che non si può che ridere di gusto per i continui equivoci, fraintendimenti e guai, che funzionano bene ora come secoli fa, e si chiude un occhio di fronte a qualche personaggio meno lolloso, soprattutto se serve a introdurre scene ancora più al limite. E infatti almeno un paio di trovate sono geniali, e la sorpresa finale è talmente inaspettata da sembrare più appropriata ad un thriller che ad una commedia!
Dategli una possibilità, senza pregiudizi, e fatemi sapere.
Poteva essere la solita boiata sulla scia di American Pie, una noia mortale da un'ora e mezza, invece i registi hanno avuto un'idea geniale: rispolverare il mai dimenticato stile teatrale della farsa e camuffarlo da teen movie. E parlo di ispirazione alta, shakespeariana direi, niente di meno, dato che ci sono gli stessi strumenti e le stesse dinamiche, che a loro volta non tradiscono le classiche radici greco-romane, a partire dal continuo ausilio dello scambio di identità come motore narrativo.
Il risultato è tanto anomalo quanto vincente, con una pellicola che non ho dubbi lascerà perplesso l'utente medio del genere (non che tale campione statistico meriti poi molto), ma che può dare soddisfazioni una volta abbandonati i pregiudizi. Non si può che ammirare il ritmo indiavolato, gli incastri assurdi ma precisi, i personaggi sopra le righe e i colpi di scena continui che dal primo minuto animano una storia senza capo nè coda, ma assolutamente godibile. E' tutto così millimetrico che non si può che ridere di gusto per i continui equivoci, fraintendimenti e guai, che funzionano bene ora come secoli fa, e si chiude un occhio di fronte a qualche personaggio meno lolloso, soprattutto se serve a introdurre scene ancora più al limite. E infatti almeno un paio di trovate sono geniali, e la sorpresa finale è talmente inaspettata da sembrare più appropriata ad un thriller che ad una commedia!
Dategli una possibilità, senza pregiudizi, e fatemi sapere.
mercoledì 30 aprile 2008
[Fiction] Dexter: Season one
Ho finito di vedere la prima season. E che spettacolo! Non perde un colpo, ogni puntata è riuscita ad entusiasmarmi senza distinzione. Il protagonista assolutamente perfetto, sempre in equilibrio tra il bene e il male, riesce a dipingere un personaggio fuori dalle righe come pochi altri della fiction moderna. Comprimari di gran classe, in primis la sorella, che messa in un altro contesto avrebbe rubato ogni scena. Ma ci sono anche i colleghi di Dexter, ognuno con la sua personalità ben definita e ai quali non si può non affezionarsi (Batista numero uno!).
Promosso su tutta la linea, passiamo alla seconda stagione, così mi gusto anche il doppiaggio originale, anche se devo dire che questa volta il lavoro fatto e' stato ottimo sia nella caratterizzazione che nel tono generale (a differenza di Heroes, che fraintende completamente in più di un'occasione).
Promosso su tutta la linea, passiamo alla seconda stagione, così mi gusto anche il doppiaggio originale, anche se devo dire che questa volta il lavoro fatto e' stato ottimo sia nella caratterizzazione che nel tono generale (a differenza di Heroes, che fraintende completamente in più di un'occasione).
domenica 27 aprile 2008
Walk Hard: The Dewey Cox Story (2007) di Jake Kasdan
Dimenticate per un momento Will Ferrel. Dimenticate le commedie volgari e sboccate solo per il gusto di esserlo. Dimenticate che il signor Apatow ha firmato Knocked Up (Molto incinta da noi, sigh). Dimenticate i noiosi film sui musicisti. E lasciatevi divertire da un John C. Reilly assolutamente FAN-TA-STI-CO, che nelle due ore di questa commedia/parodia riesce nella difficile impresa di essere migliore del materiale d'origine. Nella caratterizzazione del fittizio Dewey Cox troviamo ogni star mai portata sul grande schermo, da Jim Morrison a Ray Charles, da Elvis Presley a Johnny Cash, fino a tantissimi altri che vengono ricordati nelle loro note più memorabili (David Bowie, i Queen, Bob Dylan!).
Non c'è nessuna pretesa o tono di superiorità nel raccontare la sua storia, ed incredibilmente questa pellicola riesce ad essere IL Film sulla musica e i suoi protagonisti, forse perchè l'ironia è lo strumento migliore per riuscire ad inquadrare personalità così estreme ed estrarre dalle loro espressioni più famose un quadro d'insieme dell'artista come persona. Ed alla fine si fa fatica a credere che questo talentuoso Dewey Cox non sia che una finzione, quando lo immagineremmo lassù, che ci osserva sorridendo, a fianco del Re.
Nota: mi sono visto la versione unrated in lingua originale. Ho dato un occhio a quella passata nelle (poche) sale nostrane, e devo dire che, oltre a notevoli tagli (oltre la mezz'ora), l'adattamento per forza di cose fa perdere molto, quindi suggerisco assolutamente questa opzione. La scena dei Temptations da sola vale lo sforzo.
Non c'è nessuna pretesa o tono di superiorità nel raccontare la sua storia, ed incredibilmente questa pellicola riesce ad essere IL Film sulla musica e i suoi protagonisti, forse perchè l'ironia è lo strumento migliore per riuscire ad inquadrare personalità così estreme ed estrarre dalle loro espressioni più famose un quadro d'insieme dell'artista come persona. Ed alla fine si fa fatica a credere che questo talentuoso Dewey Cox non sia che una finzione, quando lo immagineremmo lassù, che ci osserva sorridendo, a fianco del Re.
Nota: mi sono visto la versione unrated in lingua originale. Ho dato un occhio a quella passata nelle (poche) sale nostrane, e devo dire che, oltre a notevoli tagli (oltre la mezz'ora), l'adattamento per forza di cose fa perdere molto, quindi suggerisco assolutamente questa opzione. La scena dei Temptations da sola vale lo sforzo.
Flight of the Living Dead: Outbreak on a Plane (2007) di Scott Thomas
Questo filmettino merita senza dubbio più di un'occhiata. A prima vista potrebbe essere scambiato per un clone di Snake on a plane, con zombie al posto dei serpenti, ma informandomi scopro che lo script è stato prodotto molto prima, solamente la produzione ha avuto tempi più lunghi, tanto che le richieste dei pezzi di 747 per realizzare le scene spesso venivano confuse dagli uffici delle ditte specializzate, che spesso si trovavano a rispondere con "Ah, voi siete quelli dell'altro film!".
Ma mentre nell'altro abbiamo un'idea brillante (aereo! serpenti!) che porta avanti tutta la pellicola ma perde un po' di brio e si salva solamente per la carismatica presenza di Samuel L. Jackson, qui ci troviamo con un omaggio tout court alle pellicole post Romero che hanno scritto la storia del genere (con il maestro Fulci in testa). Ed è un omaggio fatto con grande mestiere, tant'è che la storia fila liscia dall'inizio alla fine, evitando l'errore comune di trasformarsi in squallida copia, ma anzi permettendosi in almeno due occasioni delle simpatiche riflessioni sul meccanismo dei film de paura: la scena del bagno, con tutta l'attenzione incentrata sulla tazza che sembra nascondere il prossimo pericolo ma con un ribaltamento a sorpresa, è da manuale nell'uso della camera e dei tempi, mentre quella dell'anziana zombie che sembra aver compromesso uno dei nostri eroi con un morso mi ha fatto morire ("She's gumming me to death!").
Come dimenticare poi il microcosmo che popola l'aereo, fatto certamente di stereotipi (la fidanzata traditrice, il delinquente scortato dall'agente federale, il vecchio cinese, il comandante all'ultimo volo prima della pensione, la suora!), ma tutti caratterizzati con il giusto tocco di classe e abbastanza credibilità da potercisi affezionare. E infatti la trama funziona, sfruttando l'ambiente chiuso nel migliore dei modi ed anzi superandone i limiti con delle trovate geniali, vedi il pavimento crollato che inghiotte le persone alla stregua della romeriana immagine dei morti viventi che si trascinano fuori dalle tombe. E sono particolari che rivelano la passione profusa nel progetto, che gli permette di lasciarsi alle spalle l'etichetta di film d'exploitation, superando senza dubbio l'altro in divertimento e coesione narrativa.
Chiudo con una nota di merito per la bellissima Kristen Kerr nel ruolo della hostess, che tira fuori una discreta interpretazione, conquistando fin dalla prima scena. Dopo la gavetta in varie fiction/produzioni minori (però appare brevemente anche in Inland Empire, interessante!) si dimostra pronta per ruoli più importanti.
Ma mentre nell'altro abbiamo un'idea brillante (aereo! serpenti!) che porta avanti tutta la pellicola ma perde un po' di brio e si salva solamente per la carismatica presenza di Samuel L. Jackson, qui ci troviamo con un omaggio tout court alle pellicole post Romero che hanno scritto la storia del genere (con il maestro Fulci in testa). Ed è un omaggio fatto con grande mestiere, tant'è che la storia fila liscia dall'inizio alla fine, evitando l'errore comune di trasformarsi in squallida copia, ma anzi permettendosi in almeno due occasioni delle simpatiche riflessioni sul meccanismo dei film de paura: la scena del bagno, con tutta l'attenzione incentrata sulla tazza che sembra nascondere il prossimo pericolo ma con un ribaltamento a sorpresa, è da manuale nell'uso della camera e dei tempi, mentre quella dell'anziana zombie che sembra aver compromesso uno dei nostri eroi con un morso mi ha fatto morire ("She's gumming me to death!").
Come dimenticare poi il microcosmo che popola l'aereo, fatto certamente di stereotipi (la fidanzata traditrice, il delinquente scortato dall'agente federale, il vecchio cinese, il comandante all'ultimo volo prima della pensione, la suora!), ma tutti caratterizzati con il giusto tocco di classe e abbastanza credibilità da potercisi affezionare. E infatti la trama funziona, sfruttando l'ambiente chiuso nel migliore dei modi ed anzi superandone i limiti con delle trovate geniali, vedi il pavimento crollato che inghiotte le persone alla stregua della romeriana immagine dei morti viventi che si trascinano fuori dalle tombe. E sono particolari che rivelano la passione profusa nel progetto, che gli permette di lasciarsi alle spalle l'etichetta di film d'exploitation, superando senza dubbio l'altro in divertimento e coesione narrativa.
Chiudo con una nota di merito per la bellissima Kristen Kerr nel ruolo della hostess, che tira fuori una discreta interpretazione, conquistando fin dalla prima scena. Dopo la gavetta in varie fiction/produzioni minori (però appare brevemente anche in Inland Empire, interessante!) si dimostra pronta per ruoli più importanti.
domenica 20 aprile 2008
Juno (2007) di Jason Reitman
Film sottile questo Juno. Si fa piacere per tutti i motivi che non ti aspetteresti da una pellicola con tutto questo hype. Dispiace dirlo, ma a volte quello che precede l'uscita di un film a volte rischia di corromperne la visione. E questo vale per le polemiche (inutili e fuori luogo) quanto per le nomination, e l'oscar vinto in questo caso. Tutte queste cose assieme (e l'eventuale fauna da sala che avrebbe potuto aspettarmi al cinema) mi preoccupavano un po', ma visto che la versione originale, pronta da un pezzo, non riusciva a trovare posto nella mia programmazione, ho dovuto malavoglia optare per la nostra cara uscita doppiata.
Fortunatamente posso lamentarmi solamente di questo, infatti l'adattamento mi è sembrato assai stridente nei toni (troppo positivi?), soprattutto nelle parti che rendono il film un gioiellino, cioè quelle in perfetto equilibrio tra il melodramma e la commedia, dove si vede la vera bravura della lodata Diablo Cody, sceneggiatrice ex stripper (con manie di protagonismo sembra, ma come darle torto!) che avrà sicuramente una grande carriera davanti a sè, vista l'abilità dimostrata in quest. Infatti se in Thank You for Smoking tutte le lodi erano per il giovane Reitman e la sua frizzante direzione, qua capisce tutto e si mette un po' da parte, lasciando il campo ad uno script praticamente inattaccabile, che correva il solo rischio di essere sovra recitato. Ed entra in gioco il secondo miracolo, questa Ellen Page che ai più sembra essere spuntata dal nulla, ma che senza modestia tenevo d'occhio da tempo, dopo aver visto lo sconvolgente ed inedito in Italia Hard Candy, che mi aveva portato all'attenzione in tempi non sospetti la sua cristallina bravura.
L'attrice poco più che diciannovenne riesce nella difficile impresa di portare in scena tutti i tic, i pensieri e le insicurezza di un adolescente, senza mai risultare didascalica né bidimensionale. La vediamo su quello schermo e pensiamo che è proprio Juno, una ragazzina che cerca di affrontare come meglio le riesce una situazione difficile in cui si è ficcata. Non ci sono sottotesti moralistici o parallelismi sottili, e' puro e semplice cinema che parla di persone e fatti, ed è forse il miglior cinema indipendente degli ultimi tempi, se così si può chiamare senza offendere nessuno.
Perché del cinema indipendente ha sì le origini, ma riesce a staccarsi dagli stereotipi ormai pesanti fatti di famiglie problematiche (quella di Juno e' una famiglia che, per quanto non perfetta, piace allo spettatore senza mai ammiccare), società ostile (nel film la società offre varie possibilità alla neo mamma, a patto che lei sappia accettare la propria situazione per prima) e finali strappalacrime (per quanto questo non sia neppure un happy ending hollywoodiano badate!).
Una boccata d'aria, alla faccia di chi è riuscito a strumentalizzarlo senza pudore.
Fortunatamente posso lamentarmi solamente di questo, infatti l'adattamento mi è sembrato assai stridente nei toni (troppo positivi?), soprattutto nelle parti che rendono il film un gioiellino, cioè quelle in perfetto equilibrio tra il melodramma e la commedia, dove si vede la vera bravura della lodata Diablo Cody, sceneggiatrice ex stripper (con manie di protagonismo sembra, ma come darle torto!) che avrà sicuramente una grande carriera davanti a sè, vista l'abilità dimostrata in quest. Infatti se in Thank You for Smoking tutte le lodi erano per il giovane Reitman e la sua frizzante direzione, qua capisce tutto e si mette un po' da parte, lasciando il campo ad uno script praticamente inattaccabile, che correva il solo rischio di essere sovra recitato. Ed entra in gioco il secondo miracolo, questa Ellen Page che ai più sembra essere spuntata dal nulla, ma che senza modestia tenevo d'occhio da tempo, dopo aver visto lo sconvolgente ed inedito in Italia Hard Candy, che mi aveva portato all'attenzione in tempi non sospetti la sua cristallina bravura.
L'attrice poco più che diciannovenne riesce nella difficile impresa di portare in scena tutti i tic, i pensieri e le insicurezza di un adolescente, senza mai risultare didascalica né bidimensionale. La vediamo su quello schermo e pensiamo che è proprio Juno, una ragazzina che cerca di affrontare come meglio le riesce una situazione difficile in cui si è ficcata. Non ci sono sottotesti moralistici o parallelismi sottili, e' puro e semplice cinema che parla di persone e fatti, ed è forse il miglior cinema indipendente degli ultimi tempi, se così si può chiamare senza offendere nessuno.
Perché del cinema indipendente ha sì le origini, ma riesce a staccarsi dagli stereotipi ormai pesanti fatti di famiglie problematiche (quella di Juno e' una famiglia che, per quanto non perfetta, piace allo spettatore senza mai ammiccare), società ostile (nel film la società offre varie possibilità alla neo mamma, a patto che lei sappia accettare la propria situazione per prima) e finali strappalacrime (per quanto questo non sia neppure un happy ending hollywoodiano badate!).
Una boccata d'aria, alla faccia di chi è riuscito a strumentalizzarlo senza pudore.
Hot Rod (2007) di Akiva Schaffer
L'ho scelto per una serata senza troppe pretese, ma alla fine si e' rivelato molto piu' che una delle solite commedie copia di copia di copia. Anzi, nella sua semplicità mi ha divertito più di tanti altri titoli molto pubblicizzati, come 40 anni vergine.
Il film segue le avventure di Rod Kimble, un auto proclamato stuntman, che punta al salto della vita, 15 bus di fila, per raccogliere soldi e salvare la vita al patrigno. La trama, per quanto divertente nel suo minimalismo, altro non è che un pretesto per riunire una sequela infinita di divertentissime gag che non sfigurerebbero al Saturday Night Live (dove infatti si e' formato il regista), e che grazie alla fantastica espressività del protagonista (ma anche ai bravissimi e sconosciuti comprimari) regge senza mai affanno tutta l'ora e mezza, per la curiosità di vedere fino a che punto arriva l'idiozia della storia. E non si resta delusi infatti: ci sono delle scene veramente memorabili, con frasi da classico istantaneo ("E' morto all'istante... il giorno dopo.") e sketch incredibili (come quello dell'animale spirito guida) che non mollano mai. Il tutto impreziosito da una perfetta ambientazione fine anni '80, che non manca di risvegliare qualche nostalgia, con i caratteristici colori, abiti ma soprattutto canzoni: ci sono gli Europe, e bisogna dire che calzano a pennello con l'epica sgangherata sempre presente, con dei tocchi di Morricone a rincarare la dose! Morricone+Europe avete letto bene!!! Ci vuole coraggio a mettere i biondi svedesi nella stessa frase col maestro Ennio, me ne rendo conto, e per questo mi tocca esagerare con gli esclamativi!
Per concludere non posso che consigliare questo piccolo film a cui non si può non voler bene, semplice e sincero, che ha come miglior qualità quella di riuscire a divertire senza mettere in piedi grandi ed elaborate scene madre, ma sorprende anche nel più breve scambio di battute, o con quell'espressione particolare da 2 secondi, ed è un traguardo di tutto rispetto per una commedia.
Il film segue le avventure di Rod Kimble, un auto proclamato stuntman, che punta al salto della vita, 15 bus di fila, per raccogliere soldi e salvare la vita al patrigno. La trama, per quanto divertente nel suo minimalismo, altro non è che un pretesto per riunire una sequela infinita di divertentissime gag che non sfigurerebbero al Saturday Night Live (dove infatti si e' formato il regista), e che grazie alla fantastica espressività del protagonista (ma anche ai bravissimi e sconosciuti comprimari) regge senza mai affanno tutta l'ora e mezza, per la curiosità di vedere fino a che punto arriva l'idiozia della storia. E non si resta delusi infatti: ci sono delle scene veramente memorabili, con frasi da classico istantaneo ("E' morto all'istante... il giorno dopo.") e sketch incredibili (come quello dell'animale spirito guida) che non mollano mai. Il tutto impreziosito da una perfetta ambientazione fine anni '80, che non manca di risvegliare qualche nostalgia, con i caratteristici colori, abiti ma soprattutto canzoni: ci sono gli Europe, e bisogna dire che calzano a pennello con l'epica sgangherata sempre presente, con dei tocchi di Morricone a rincarare la dose! Morricone+Europe avete letto bene!!! Ci vuole coraggio a mettere i biondi svedesi nella stessa frase col maestro Ennio, me ne rendo conto, e per questo mi tocca esagerare con gli esclamativi!
Per concludere non posso che consigliare questo piccolo film a cui non si può non voler bene, semplice e sincero, che ha come miglior qualità quella di riuscire a divertire senza mettere in piedi grandi ed elaborate scene madre, ma sorprende anche nel più breve scambio di battute, o con quell'espressione particolare da 2 secondi, ed è un traguardo di tutto rispetto per una commedia.
domenica 13 aprile 2008
Ichi the Killer (2001) di Takashi Miike
Ogni volta che penso di essere preparato ad affrontare un film di Miike devo ricredermi, questo ormai e' un dato di fatto! E' successo ultimamente già con Imprint e poi con Visitor Q, ma se ogni opera di questo geniale (o bizzarro?) regista mi stupirà allo stesso modo, devo preparami a molte sorprese, visto che ogni anno dirige anche decine di film, e gli sono accreditate su imdb un'ottantina di pellicole... ed ha 47 anni, quindi fate voi la media.
Lasciando da parte le curiosità statistiche, sono rimasto letteralmente con gli occhi sbarrati per tutta la visione. Ispirato dall'omonimo manga, racconta la storia di un mal assortito gruppo di yakuza presi in un sanguinoso vortice di vendetta. Può sembrare la classica ambientazione di molti film che ci arrivano dal Giapppone, ma il mondo surreale messo in scena è qualcosa di inedito.
Le vicende ruotano attorno a due killer: il primo fa parte di una banda criminale, mentre il secondo è un giovane con grosse turbe psichiche, capace delle più terribili altrocità, che viene utilizzato come un burattino dal deus ex machina della situazione, un Shinya Tsukamoto in cerca di vendetta nell'ambiente mafioso di Tokio, e che dà il via alla lunga serie di uccisioni/torture che seguirà. Sono i due poli magnetici di una violenza che guida ogni azione. Diversi nel percorso che li ha portati ad essere tali, ma identici nell'essere capaci di esprimersi solamente in rapporto alla sofferenza, sia data che subita. La loro esistenza gira intorno a questo fulcro, in un parossismo guidato dalla situazione che precipita di scena in scena, senza che possano aver modo di cambiare in nessun modo il loro destino. Uno fatto per portare il dolore, l'altro che gode nel riceverlo, le loro strade non possono che incrociarsi, nel peggiore dei modi.
L'analisi dei due personaggi e la loro antitesi da sole riescono a dare un ritratto moralmente dubbio ma di grande forza cinematografica che riesce a non perdersi mai nella narrazione, per quanto prolissa. Grazie all'uso continuo dell'eccesso e dell'humor nero andiamo oltre al banale film horror con ambientazione gangster, arrivando dritti ad una precisa critica, che non risparmia nulla alla società giapponese, sia questa la dipendenza dalla violenza (fisica ma soprattutto psicologica) o l'alienazione dei giovani, senza dimenticare la perdita d'identità della famiglia (tema affrontato più dettagliatamente proprio in Visitor Q). Violenza che diventa protagonista di ogni scena, stilizzata e sporca, ma che miracolosamente riesce, allo stesso tempo, a non essere mai gratuita. Per non parlare poi degli incredibili personaggi: basti pensare ai due poliziotti gemelli, talmente corrotti da rivelarsi peggiori dei banditi, o lo stesso killer in tutina da supereroe, ma tutti indistintamente acquisiscono plausibilità nello strano mondo creato dal film.
E sono riuscito a non parlare della scena della tortura.
Lasciando da parte le curiosità statistiche, sono rimasto letteralmente con gli occhi sbarrati per tutta la visione. Ispirato dall'omonimo manga, racconta la storia di un mal assortito gruppo di yakuza presi in un sanguinoso vortice di vendetta. Può sembrare la classica ambientazione di molti film che ci arrivano dal Giapppone, ma il mondo surreale messo in scena è qualcosa di inedito.
Le vicende ruotano attorno a due killer: il primo fa parte di una banda criminale, mentre il secondo è un giovane con grosse turbe psichiche, capace delle più terribili altrocità, che viene utilizzato come un burattino dal deus ex machina della situazione, un Shinya Tsukamoto in cerca di vendetta nell'ambiente mafioso di Tokio, e che dà il via alla lunga serie di uccisioni/torture che seguirà. Sono i due poli magnetici di una violenza che guida ogni azione. Diversi nel percorso che li ha portati ad essere tali, ma identici nell'essere capaci di esprimersi solamente in rapporto alla sofferenza, sia data che subita. La loro esistenza gira intorno a questo fulcro, in un parossismo guidato dalla situazione che precipita di scena in scena, senza che possano aver modo di cambiare in nessun modo il loro destino. Uno fatto per portare il dolore, l'altro che gode nel riceverlo, le loro strade non possono che incrociarsi, nel peggiore dei modi.
L'analisi dei due personaggi e la loro antitesi da sole riescono a dare un ritratto moralmente dubbio ma di grande forza cinematografica che riesce a non perdersi mai nella narrazione, per quanto prolissa. Grazie all'uso continuo dell'eccesso e dell'humor nero andiamo oltre al banale film horror con ambientazione gangster, arrivando dritti ad una precisa critica, che non risparmia nulla alla società giapponese, sia questa la dipendenza dalla violenza (fisica ma soprattutto psicologica) o l'alienazione dei giovani, senza dimenticare la perdita d'identità della famiglia (tema affrontato più dettagliatamente proprio in Visitor Q). Violenza che diventa protagonista di ogni scena, stilizzata e sporca, ma che miracolosamente riesce, allo stesso tempo, a non essere mai gratuita. Per non parlare poi degli incredibili personaggi: basti pensare ai due poliziotti gemelli, talmente corrotti da rivelarsi peggiori dei banditi, o lo stesso killer in tutina da supereroe, ma tutti indistintamente acquisiscono plausibilità nello strano mondo creato dal film.
E sono riuscito a non parlare della scena della tortura.
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